Quando si parla di riserva cognitiva ci si riferisce alla capacità di compensare i danni cerebrali[3] da parte di alcuni individui (con notevoli differenze tra le varie persone). Il modello teorico prevede che le persone con alta riserva cognitiva massimizzino oppure ottimizzino le loro performance attraverso l’utilizzo di network cerebrali alternativi, che forse riflettono l’uso di strategie alternative. Ciò permetterebbe sia di posticipare i segni di una demenza, sia di gestire i cambiamenti cognitivi e cerebrali che avvengono normalmente con l’avanzamento dell’età.
Non essendo direttamente osservabile, per misurare la riserva cognitiva si è soliti ricorrere a indicatori indiretti riguardanti esperienze e abilità che si ritengono utili per incrementarla; ne sono alcuni esempi il livello di istruzione, il livello lavorativo (soprattutto in relazione alla complessità richiesta dalla mansione svolta) o l’essere impegnati in varie attività cognitivamente stimolanti[1].
Uno studio di Opdebeek e colleghi[2] supporta l’idea che la riserva cognitiva sia legata a funzioni cognitive di diversi domini, al punto che gli stessi autori hanno indicato la necessità di indagare in maniera più precisa e dettagliata la relazione tra la stessa riserva cognitiva e specifici ambiti cognitivi. Come viene riferito nella ricerca di cui stiamo per parlare[1], la creatività potrebbe essere proprio uno degli ambiti da indagare in relazione alla riserva cognitiva perché sarebbe un fattore che, nella popolazione anziana, permetterebbe di trovare e utilizzare strategie alternative per far fronte ai danni cerebrali legati all’età (mantenendo una mentalità aperta, stabilendo nuove e inusuali relazioni fra concetti, e cambiando prospettiva quando necessario).
In cosa consiste la ricerca
Un gruppo di 72 individui americani tra i 42 e i 78 anni di età è stato sottoposto a test di creatività (messi a punto per la ricerca), ad alcune prove di un test di intelligenza e ha compilato questionari riguardanti indicatori di riserva cognitiva come il tipo di lavoro, gli anni di istruzione e l’impegno in attività nel tempo libero. Successivamente i ricercatori hanno analizzato le relazioni tra queste diverse variabili.
I risultati
Analizzando i dati è emerso che i punteggi ai test di intelligenza e quelli delle prove di creatività erano fra loro correlati (chi aveva le performance più alte in una prova li aveva anche nell’altra). Un dato ancora più interessante è quello riguardante il rapporto fra creatività e riserva cognitiva: le persone che svolgevano lavori creativi (come artisti, musicisti e professori) mostravano una maggiore riserva cognitiva rispetto a quelli che impegnati in lavori di routine (come gli impiegati e i tecnici di laboratorio) mentre questa correlazione non si osservava invece tra complessità lavorativa e riserva cognitiva.
Conclusioni
Sebbene, trattandosi di una ricerca di tipo correlazionale, i risultati siano da interpretare con molta cautela, i dati emersi sembrano suggerire l’importanza di un elemento molto spesso tralasciato nel concettualizzare la riserva cognitiva: la creatività.
Come spiegato nella sezione precedente, l’aver svolto un lavoro creativo sembra incidere sulla riserva cognitiva più della complessità del lavoro stesso. Modalità di pensiero alternativo e flessibile potrebbero quindi essere elementi da indagare come misure sostitutive della riserva cognitiva.
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Bibliografia
- Colombo, B., Antonietti, A., & Daneau, B. (2018). The Relationships Between Cognitive Reserve and Creativity. A Study on American Aging Population. Frontiers in psychology, 9.
- Opdebeeck, C., Martyr, A., & Clare, L. (2016). Cognitive reserve and cognitive function in healthy older people: a meta-analysis. Aging, Neuropsychology, and Cognition, 23(1), 40-60.
- Stern, Y. (2009). Cognitive reserve. Neuropsychologia, 47(10), 2015-2028.