Il Piano Didattico Personalizzato (o PDP) è un documento preparato dal consiglio di classe con cui si personalizza la didattica dello studente tramite strumenti compensativi e/o misure dispensative.
La legge 170/2010 ha reso obbligatoria la stesura del PDP in caso di diagnosi di disturbo specifico dell’apprendimento (DSA). Tuttavia, la scuola può predisporre un pdp anche in assenza di tale diagnosi, nel caso in cui dovesse ravvisare difficoltà da parte dello studente. Riassumendo, la scuola può predisporre un PDP in autonomia, ma deve farlo a seguito di una diagnosi di DSA.
Lo scopo di una diagnosi, però, non è quello di costringere la scuola a preparare il PDP. Al contrario, spesso una relazione diagnostica ben dettagliata diventa uno strumento essenziale per personalizzare la didattica in modo più efficace.
Il PDP non è un documento statico, ma può essere modificato nel corso dell’anno in base alle esigenze dello studente e/o a ulteriori indicazioni presenti nella diagnosi.
Il PDP è utile solo se ben preparato. Raccontiamo adesso due storie: nella prima il PDP è un “pezzo di carta” vuoto, un adempimento formale della scuola che non migliora l’esperienza scolastica del ragazzo; nella seconda, il PDP diviene davvero lo strumento che favorisce l’apprendimento tramite una didattica adattata alle caratteristiche dello studente.
Marco
Marco ha 10 anni e va in quinta elementare. Sin dai primi anni di scuola gli insegnanti lo considerano pigro e svogliato. Secondo i genitori, invece, il bambino era inizialmente motivato e curioso, ma la mancanza di risultati ne ha a poco a poco diminuito l’entusiasmo. Adesso Marco è irrequieto, va a scuola controvoglia e i suoi genitori faticano molto a fargli svolgere i compiti a casa. Di fronte a queste difficoltà la madre si è rivolta a uno specialista per capire da cosa dipendano le difficoltà di Marco.
Al termine della valutazione, lo specialista consegna alla madre di Marco una relazione in cui è indicato soltanto il nome della diagnosi:
Dislessia Evolutiva (F81.0). Si necessita l’attuazione di un piano didattico personalizzato da parte della scuola
A questo punto, la madre del ragazzo consegna la diagnosi a scuola e, dopo un po’ di tempo, le viene fatto firmare il piano didattico personalizzato che riporta un elenco di voci:
Utilizzo della videoscrittura
Utilizzo del correttore ortografico
Dispensa dalla lettura a voce alta in classe
Dispensa dallo studio mnemonico
Utilizzo della tavola pitagorica
Utilizzo della calcolatrice
Utilizzo della sintesi vocale
Dispensa dall’uso del corsivo
[…]
L’elenco sarebbe ancora lungo ma già queste prime voci sono sufficienti a far capire una cosa: non siamo di fronte a una vera personalizzazione della didattica che tenga conto delle difficoltà e dei punti di forza di Marco. Lo si deduce dalla presenza di strumenti compensativi e dispensativi anche per aree di apprendimento per le quali, date le caratteristiche di Marco, non sarebbero necessari. Piuttosto, questo PDP appare come una semplice procedura formale che serve soltanto a dimostrare di aver rispettato la legge ma non mette il ragazzo nelle condizioni di imparare meglio.
Si nota chiaramente come gli insegnanti in questo caso abbiano dato accesso a tutti gli ausili e le misure dispensative possibili mentre idealmente si dovrebbe dare soltanto ciò di cui lo studente ha realmente bisogno.
Procedendo in questo Marco rischia di essere escluso da molte opportunità di apprendimento e i suoi compagni possono pensare che Marco abbia trovato un modo per lavorare meno a scuola e a casa.
Ma come si fa a sapere quali siano le personalizzazioni didattiche? Innanzitutto sarebbe opportuna una buona diagnosi dettagliata, cosa che non si può dire della relazione diagnostica di Marco (in cui viene detto soltanto il nome del disturbo); nel suo caso il clinico si è limitato ad “etichettare” ragazzo senza darne una descrizione che rispecchi le sue capacità e le sue difficoltà:
Cosa sappiamo della sua lettura? È lenta, è scorretta, o entrambe le cose? Che tipi di errori fa?
Riguardo al suo funzionamento intellettivo? È intelligente? In quali ambiti mostra migliori abilità e in quali fatica maggiormente?
Abbiamo visto che nel PDP Marco è stato esonerato dallo studio mnemonico, ma cosa sappiamo della sua memoria?
Marco è in grado di rimanere concentrato per periodi prolungati? Riesce a rimanere attento ignorando le distrazioni?
È in grado di astrarre le informazioni da un testo e utilizzarle in maniera flessibile (funzioni esecutive)?
Come sono le sue abilità linguistiche?
… E ci sarebbero tante altre domande da porsi!
Le insegnanti di Marco non hanno trovato alcuna risposta a queste domande e hanno ricevuto una diagnosi che non fornisce alcuna informazione utile, né sulle difficoltà dello studente né su come affrontarle in ambito didattico.
In questa situazione sarebbe stato opportuno chiedere un incontro congiunto fra insegnanti, genitori e professionisti che hanno svolto la valutazione diagnostica, in modo da poter ricavare più informazioni sul ragazzo e sulla situazione, e poter iniziare così un percorso di reciproca collaborazione.
Come abbiamo visto, le cose sono purtroppo andate diversamente: prima, chi si è occupato della valutazione diagnostica non ha fatto un lavoro accurato, rendendo la relazione diagnostica un etichetta vuota e inservibile; poi, le insegnanti hanno semplicemente dato tutti gli aiuti possibili previsti dalla legge (forse in buona fede o forse per tutelarsi dal punto di vista legale) senza badare alle reali necessità di Marco.
Oggi Marco, dopo questo percorso, sente di non poter raggiungere i risultati degli altri e sforzarsi per imparare cose nuove a scuola gli appare come inutile, rendendolo meno motivato e rafforzando l’idea degli insegnanti che si tratti di un ragazzo con poca voglia di impegnarsi.
Luca
Luca ha 9 anni e frequenta la quarta elementare. Notando già dai primi anni le difficoltà nell’apprendimento della lettura e della scrittura, gli insegnanti predisposero un Piano didattico personalizzato in accordo con la famiglia già in seconda elementare. Inoltre, dopo aver intrapreso attività di potenziamento della lettura e della scrittura (con scarsi risultati), alla fine dell’anno scolastico consigliarono ai genitori di Luca di rivolgersi a uno specialista per una valutazione più approfondita delle funzioni cognitive.
Da tale valutazione emerse una diagnosi categoriale di
“dislessia e disortografia evolutiva (F81.0 ed F81.1)”.
La relazione però non si limitava a questo ma scendeva nel dettaglio del profilo del bambino dal punto di vista funzionale riportando in maniera dettagliata le difficoltà riscontrate, come ad esempio che
“la lettura si caratterizza per errori di tipo fonologico […]. Nella scrittura gli errori si concentrano sulle irregolarità della lingua italiana, in particolare sui digrammi (‘bago’ per ‘bagno’, ‘vegia per ‘veglia’, ‘scopero’ per ‘sciopero’)”.
o anche che
“Dai test emerge una marcata difficoltà di concentrazione per periodi prolungati (attenzione sostenuta) […]. In aggiunta si riscontrano deficit di memoria a breve termine di tipo verbale”.
Oltre alle difficoltà venivano riportate anche le capacità in cui Luca eccelle, per esempio che
“possiede ottime abilità di ragionamento visuo-spaziale, dimostrando di saper elaborare informazioni astratte per giungere alla soluzione di problemi”.
La relazione proseguiva poi spiegando le possibili ripercussioni delle difficoltà riscontrate (come ad esempio gli inevitabili errori ortografici, soprattutto su alcuni tipi di parole, la necessità di pause per ovviare ai problemi attentivi e la possibile difficoltà nel comprendere le spiegazioni orali complesse a causa dei deficit di memoria di lavoro)
Nella parte conclusiva della relazione si trovavano dei suggerimenti per la stesura di un PDP per Luca (come, ad esempio, la proposta di continuare ad aiutare il bambino sull’ortografia ma, al tempo stesso, di darle minor peso nella valutazione delle verifiche, oppure il dare maggior tempo per lo svolgimento delle delle verifiche per cercare di arginare le sue difficoltà attentive).
Dopo aver letto la relazione diagnostica, gli insegnanti di Luca si resero subito disponibili con i professionisti che l’avevano scritta e i genitori del bambino stesso, in modo da poter avere una visione più completa della situazione ed elaborare insieme delle possibili strategie per far fronte alle sue difficoltà in ambito scolastico e metterlo nelle migliori condizioni di apprendere.
Vennero quindi scelti insieme le misure dispensative e gli strumenti compensativi più utili in questo caso, evitando così di esporre Luca a inutili frustrazioni (per esempio, risparmiandogli di leggere a voce alta in classe per primo), senza ricorrere ad altre misure che in questo caso non sarebbero state utili (per esempio, l’utilizzo della calcolatrice, dato che Luca non mostrò mai difficoltà di acquisizione delle procedure di calcolo).
Nel caso appena descritto il lavoro si è svolto nel migliore dei modi: dapprima le insegnanti si sono attivate per cercare di colmare le lacune di Luca nella lettura con attività di potenziamento, poi, non vedendo miglioramenti, hanno consigliato un consulto da uno specialista; anche la valutazione diagnostica è avvenuta in maniera ottimale, portando a una relazione scritta dettagliata in cui fossero spiegate le difficoltà del bambino e le strategie da adottare; infine, si è provveduto a instaurare una collaborazione fra insegnanti, genitori e specialisti che a portato a una vera personalizzazione della didattica.
Oggi Luca, dopo la diagnosi e la collaborazione degli insegnanti, è più sereno, ha compreso che le sue difficoltà riguardano soltanto una parte degli apprendimenti scolastici e che possono essere adeguatamente compensate, anche grazie alle notevoli capacità che possiede e di cui è diventato consapevole.
Non teme più di essere visto come svogliato o poco capace ma, al contrario, si sente compreso dalle insegnanti e valorizzato.Sa che con le giuste strategie nessun traguardo gli è precluso ed ha acquisito molta più autostima e motivazione.
Con queste due storie appare più chiaro il senso della diagnosi e del PDP. Una diagnosi non deve essere una semplice etichetta che faccia coincidere il bambino con un disturbo, ma deve rappresentare l’individuo nelle sue difficoltà e nei suoi punti di forza. Ancor prima di far rientrare il bambino in una determinata categoria diagnostica, deve indicare in quali ambiti cognitivi la persona mostra più difficoltà e in quali manifesta migliori capacità.
In altre parole, non basta dire che lo studente è dislessico ma bisogna analizzare le sue abilità in maniera dettagliata perché i problemi scolastici non derivano necessariamente (o non soltanto) da difficoltà specifiche nella lettura, nella scrittura o nel calcolo: solo per fare alcuni esempi, potrebbero esserci problemi i natura attentiva, di memoria o di linguaggio.
Talvolta si assiste al problema opposto: una volta appiccicata una “etichetta” di dislessico addosso al bambino, si dà per scontato che coesistano tutta una serie di altre problematiche, senza che si stata realmente accertata la loro presenza.
Di conseguenza non si potrà considerare buona una diagnosi fatta soltanto con un test del quoziente intellettivo (per esempio, la WISC-IV) e con le prove di lettura, scrittura e calcolo, ma sarà necessario ampliare la valutazione con altri test che indaghino molte altre componenti, come la memoria a breve e lungo termine, l’attenzione, le funzioni esecutive e le abilità linguistiche (vedi anche i test nella dislessia).
Avendo queste essenziali informazioni diventa possibile creare un vero piano didattico personalizzato: gli insegnanti, avvalendosi anche della collaborazione degli specialisti, potranno adeguare la didattica alle esigenze dello studente, tenendo in considerazione le sue caratteristiche e potendo quindi scegliere gli strumenti più adeguati al singolo caso, mettendolo cioè in condizione di apprendere anche con modalità alternative e più funzionali al singolo caso.
Le possibili personalizzazioni sono molte, sia fra gli strumenti compensativi che fra la misure dispensative, possono essere adattate caso per caso e riviste anche durante l’anno scolastico. È importante però che questo percorso non si riduca a una semplice checklist da spuntare, come se si trattasse di un premio di consolazione per tenere buona la famiglia del bambino.
La legge 170 del 2010 è stata scritta con l’intento di riconoscere sia le difficoltà che le capacità di questi ragazzi, fornendo i mezzi per metterli nelle condizioni di imparare: proprio a questo serve una buona diagnosi e un buon PDP