Dislessia e percezione. Nell’ambito della neuropsicologia dell’età evolutiva si tratta sicuramente di uno degli argomenti più studiati dai ricercatori ma, nonostante tante ipotesi per spiegarne i meccanismi sottostanti, nessuno è riuscito ancora a dare una risposta definitiva, probabilmente perché quando ci riferiamo all’apprendimento della lettura parliamo di un processo complicato che coinvolge molti aspetti come la visione, il linguaggio, il controllo motorio e l’attenzione, ed è perciò improbabile che ci sia una sola spiegazione per la dislessia evolutiva[5]. Quello su cui i ricercatori solitamente concordano è che nelle persone dislessiche emergono con frequenza alcune difficoltà particolari (per esempio quelle di processamento fonologico [1]) o nell’apprendimento percettivo [3] e in quello motorio [4].

I risultati hanno messo in mostra che le persone dislessiche, confrontate con i normolettori, avrebbero dei tempi prolungati di adattamento e ciò rifletterebbe una minore efficienza nella sintonizzazione con stimoli rapidi. Questo tipo di risposta cerebrale è stata osservata dagli autori della ricerca in diversi esperimenti che utilizzavano stimoli verbali (uditivi e scritti) e visivi, sia in adulti che in bambini.
Un altro aspetto interessante di questo studio è che il prolungamento dei tempi di attivazione cerebrale correlerebbe positivamente con la difficoltà di lettura negli adulti e con le difficoltà fonologiche nei bambini; detto in altri termini, tanto più si hanno difficoltà in lettura (o in ambito fonologico) e tanto più si osserveranno difficoltà nei processi di adattamento appena descritti (e viceversa).

Alcuni ricercatori invece hanno ipotizzato che alla basa della dislessia evolutiva possa esserci un una difficoltà di adattamento agli stimoli ripetuti: Perrachione e collaboratori [5], hanno sottoposto diversi gruppi di dislessici a differenti compiti mentre veniva visualizzata la loro attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica funzionale e hanno confrontato i risultati con quelli ottenuti da altri gruppi di normolettori nello stesso tipo di prove. Gli autori di questa ricerca hanno osservato come il cervello dei dislessici reagisce alla presentazione ripetuta dello stesso tipo di stimoli.

Normalmente, al ripresentarsi di uno stesso tipo di informazione, le aree del cervello che analizzano questi input iniziano ad attivarsi meno, e ciò rappresenterebbe un’ottimizzazione delle risorse cognitive utilizzate. Per esempio, quando ascoltiamo una stessa voce che dice parole differenti, nel nostro cervello avviene un processo di sintonizzazione che dura pochi secondi, durante il quale si identificano le caratteristiche stabili di quella stessa voce, che servono a rendere più efficiente il l’analisi delle informazioni. Superata questa fase, le aree cerebrali che analizzano l’informazione uditiva si attivano meno, a testimonianza dell’avvenuta sintonizzazione. Questa diminuzione dell’attività cerebrale in risposta agli stessi tipi di input ricevuti viene chiamata adattamento.

È sufficiente quanto detto finora per spiegare la dislessia? A nostro avviso no. Questa ricerca rappresenta soltanto un piccolo tassello in più per comprendere i meccanismi della dislessia. Soltanto per fare un esempio, gli autori non spiegano la relazione tra la discalculia e questo meccanismo di adattamento agli stimoli ripetuti, vista l’altissima commorbidità fra disturbi di lettura e quelli del calcolo. Allo stesso modo, come riferiscono gli stessi ricercatori, non appare chiaro il nesso fra questa lentezza nella sintonizzazione a stimoli ripetuti e i meccanismi di attenzione selettiva spaziale che spesso (ma non sempre) risulta alterata nelle persone con dislessia evolutiva[2].

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