Nonostante la ricerca scientifica sulla dislessia evolutiva sia molto attiva, siamo lontani da una visione condivisa su quali siano gli indicatori precoci di dislessia.
Attualmente la diagnosi di dislessia non può essere posta prima della fine del secondo anno di scuola primaria, cioè intorno ai 7-8 anni; i ricercatori però sono da tempo all’opera per trovare quegli elementi che permettano di identificare i bambini dislessici ancora prima di questa età. Al momento le difficoltà nei seguenti ambiti sono considerate indicatori di probabile dislessia, prima che si possa effettuare una vera e propria diagnosi2:
– conoscenza fonologica
– conoscenza delle lettere
– denominazione rapida
– vocabolario verbale
– ripetizione di non parole
– memoria a breve termine
– consapevolezza fonologica
Ovviamente si parla di indicatori probabilistici, non certi; per questo motivo non è detto che chi presenta queste difficoltà riceverà in futuro una diagnosi di dislessia, così come non è detto che un bambino che non abbia queste difficoltà non riceva poi tale diagnosi. Detto in altri termini, i dislessici presentano spesso le suddette difficoltà, ma non sempre.
Appare ovvio allora che la valutazione di queste capacità non sia sufficiente; di conseguenza, da diversi anni molti ricercatori indagano la dislessia da un altro punto di vista: il rapporto fra dislessia e attenzione e, più precisamente, le funzioni attentive visuo-spaziali.
In un recente articolo del 2015 Franceschini e colloaboratori10 hanno cercato di fare il punto sullo stato attuale della ricerca scientifica riguardo alla relazione fra dislessia evolutiva e attenzione visuo-spaziale. Passando in rassegna molte ricerche sull’argomento, gli autori ritengono che valutare le funzioni attentive aiuterebbe a individuare i “futuri” bambini dislessici.
Proviamo a capire perché: l’attenzione visuo-spaziale nella lettura agirebbe come un faro che permette un’iniziale elaborazione grossolana dell’informazione visiva (riconducibile all’attività delle cosiddette vie magnocellulari-dorsali14), per poi essere orientato in una parte più ristretta del campo visivo, a sinistra della parola da leggere, spostandosi rapidamente sulla lettera a destra e così via. I meccanismi più linguistici di lettura (elaborazione fonologica, conversione grafema fonema, il mantenimento dei fonemi in memoria a breve termine e conseguente fusione di essi) interverrebbero solo successivamente.
Si tratta quindi di un processo di ricerca visiva seriale, e già molti anni fa alcuni autori mostrarono che persone lente in questo tipo di attività erano anche più lente e meno accurate nella lettura1. Inoltre Franceschini8 e colleghi hanno studiato la connessione fra la capacità di attenzione visuo-spaziale in bambini prescolari e la successiva acquisizione della lettura, mettendo in luce come quelli che ottenevano prestazioni più basse nei compiti attentivi erano anche quelli con più difficoltà di lettura al primo anno di scuola primaria. A ciò si aggiungono i dati ottenuti da Gori17 e collaboratori che concordano con quanto appena descritto.
Partendo da queste premesse, Franceschini9 e altri ricercatori ritengono che l’utilizzo di test per le capacità di attenzione visuo-spaziale (uniti ad altre prove) potrebbe aiutare a identificare i bambini che in futuro si riveleranno dislessici, soprattutto se si considera che il 60% di loro avrebbe difficoltà di tipo attentivo8.
Infine, sempre nello stesso articolo9, i ricercatori avanzano l’ipotesi che si possano allenare preventivamente determinate capacità attentive per favorire la futura acquisizione della lettura. Al momento iniziano ad esserci evidenze degli effetti positivi sulla lettura, da parte di determinati da training attentivi (basati prevalentemente sull’uso di videogiochi d’azione), ma questi studi sono stati condotti su individui già scolarizzati11, 15. Poco o nulla invece si sa sugli effetti di questi training condotti in età prescolare.
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Bibliografia
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