Nonostante rappresenti una significativa causa di danno cerebrale tra i giovani, l’ictus in età evolutiva non è molto studiato. Poiché si verifica raramente, sono pochi i dati a disposizione rispetto a come l’ictus influenzi lo sviluppo neurocognitivo[1][2].
Precedentemente abbiamo raccontato di una ricerca condotta da Champigny e collaboratori; in tale studio era risultato che i bambini sopravvissuti all’ictus si scontrano con difficoltà scolastiche maggiori rispetto ai pari età, probabilmente a causa di deficit cognitivi. Ciò era quanto emerso nonostante i voti scolastici fossero relativamente simili ai coetanei, suggerendo quindi la necessità di un’analisi più approfondita per valutare le difficoltà che i pazienti possono trovarsi a fronteggiare.
Un altro studio condotto dal Peterson e colleghi[2] si è focalizzato sui bambini che avevano avuto in ictus localizzato in sede corticale – parte del cervello implicata nelle funzioni cognitive di alto livello.
La ricerca ha incluso 27 bambini con questo tipo di problematica, analizzando molti dettagli come l’estensione e la posizione della lesione, così come l’età dell’evento.
I ricercatori hanno registrato che la maggior parte dei bambini aveva ricevuto qualche tipo di diagnosi psicologica, come ADHD, disturbi dell’apprendimento, disturbi d’ansia e umore, o disturbi del linguaggio. In realtà, ciò non sarebbe infrequente, come già riportato nel precedente articolo.
Riguardo alle funzioni cognitive, i bambini ottenevano punteggi significativamente più bassi della media nelle prove di memoria di lavoro e velocità di elaborazione – anche questi già riscontrati nella ricerca precedentemente discussa.
Passando invece al rendimento scolastico, le difficoltà più importanti riguardavano il calcolo, mentre altri apprendimenti inerenti alla lettura, al linguaggio e alla capacità di risoluzione dei problemi risultavano nei limi di norma.
Inoltre, si collocavano nella norma i test di tipo visuo-percettivo ma erano significativamente più bassi i punteggi nelle prove di coordinazione motoria.
Molti altri aspetti sono stati valutati tramite questionari compilati dai genitori dei pazienti, da cui sono emersi problemi nella memoria di lavoro o nella capacità di pianificazione e organizzazione, al pari dell’iniziativa e del monitoraggio nelle attività da svolgere. In ogni caso, questi ultimi dati vanno considerati con cautela poiché derivanti da valutazioni più soggettive rispetto ai test di performance.
Pur consapevoli dell’esiguità del campione, gli autori hanno condotto ulteriori analisi nel tentativo di determinare se qualche elemento nella storia familiare potesse aiutare a predire i deficit cognitivi. Hanno così osservato che un ictus occorso in età più precoce mostrava le maggiori ripercussioni sul ragionamento percettivo e sulla coordinazione motoria, mentre un ictus in età più “avanzata” andava a compromettere soprattutto l’area del calcolo.
Nonostante altri indicatori come l’estensione e la localizzazione della lesione non rappresentavano buoni predittori, i ricercatori hanno notato che circa l’86% dei bambini con capacità più basse avevano lesioni medio-grandi, più frequentemente a destra e che coinvolgevano il lobo frontale.
Un’interessante osservazione fatta dagli autori è che una più alta istruzione materna correlava con migliori capacità di ragionamento verbale nei bambini, insieme a un più elevato livello intellettivo generale, lettura di parole e comprensione di linguaggio.
Peterson e colleghi ne hanno concluso che la maggior parte dei bambini che hanno sofferto di un ictus corticale ottiene, in linea generale, punteggi nei test cognitivi coerenti con le attese per la propria età. Ciononostante, si presentano sfumati deficit riguardanti la memoria di lavoro, la velocità di elaborazione o la coordinazione (quest’ultima, verosimilmente, come conseguenza di una compromissione nell’utilizzo della mano dominante).
I fattori in grado di predire il funzionamento cognitivo non sono ancora chiaramente definiti e necessitano di ulteriori ricerche prima di poter giungere a conclusioni più nette.
Come molti studi di questo tipo, la ricerca in questione deve fare i conti con rilevanti limiti metodologici come il ridotto numero di soggetti presi in esame, la prevalenza dei partecipanti di età molto giovane – circa il 59% al di sotto dei 10 anni – e il disegno di tipo retrospettivo (che va alla ricerca di dati preesistenti da cui trarre conclusioni, piuttosto che controllare ciò che può essere misurato in tempo reale e confrontarlo con un gruppo di controllo appaiato per specifiche caratteristiche).
Nonostante tutto, questa ricerca indica importanti elementi rispetto a un argomento poco indagato, e fornisce ipotesi rilevanti da analizzare con studi su larga scala.
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Bibliografia
- Champigny, C. M., Deotto, A., Westmacott, R., Dlamini, N., & Desrocher, M. (2020). Academic outcome in pediatric ischemic stroke. Child Neuropsychology, 1-17.
- Peterson, R. K., Williams, T. S., McDonald, K. P., Dlamini, N., & Westmacott, R. (2019). Cognitive and academic outcomes following childhood cortical stroke. Journal of child neurology, 34(14), 897-906.