Secondo un modello classico, la scrittura di non parole sotto dettatura prevederebbe il passaggio dal buffer fonologico in entrata al buffer fonologico in uscita, per arrivare, infine, al buffer ortografico in uscita (figura 1, percorso verde).

Secondo questo modello, una difficoltà nella scrittura di parole inventate sarebbe sempre associata a una difficoltà analoga nella ripetizione ad alta voce dello stesso tipo di parole. In fondo, sembrerebbe intuitivo pensare: come faccio a scrivere una parola inventata che mi hanno dettato se non riesco a ripeterla?
Uno studio recente, al contrario, smentisce il coinvolgimento del buffer fonologico in uscita. In questo modo, la scrittura di non parole seguirebbe un percorso diretto dal buffer fonologico in entrata al buffer ortografico in uscita.
Lo studio
Per evidenziare la dissociazione tra buffer fonologico in uscita (utile nella ripetizione a voce di non parole) e buffer ortografico (secondo gli autori, l’unico coinvolto nella scrittura di non parole sotto dettatura), i ricercatori hanno selezionato 24 adolescenti (10,10 – 14,10 anni) con difficoltà nella ripetizione di non parole. Ulteriori test sono stati effettuati per accertarsi che questa difficoltà non avesse altre cause (come, ad esempio, un deficit articolatorio).
Sottoposti a una prova di scrittura di non parole, i soggetti non hanno commesso più errori rispetto alla media. In sostanza, scrivevano meglio le non parole di quanto non riuscissero a leggerle o ripeterle.
Risultati
Secondo gli autori, questa dissociazione confermerebbe l’indipendenza da questi due moduli. In passato erano state riscontrate difficoltà nella scrittura di non parole da parte di ragazzi con deficit fonologico in uscita ma, secondo questi autori, si tratterebbe di una associazione di deficit senza nesso causale.
I ricercatori sostengono che, alla base dell’errore di partenza, ci sia proprio la rappresentazione generalmente utilizzata per descrivere la scrittura sotto dettatura (figura precedente), nella quale un passaggio diretto dal buffer fonologico in ingresso a quello ortografico in uscita richiederebbe un “salto” a cavallo di tutti gli altri moduli. In questo caso, sarebbe stata la rappresentazione grafica a guidare la teoria, e non viceversa.
Benché l’indipendenza del buffer ortografico di output dal buffer fonologico di output sia stata ipotizzata da più di 30 anni, si tratta di uno dei pochi studi, e forse il primo per chiarezza dei risultati, condotti sull’argomento.