Con l’avvento dei biomarcatori per le fasi precliniche e prodromiche della malattia di Alzheimer, sono stati fatti diversi tentativi per utilizzare questi indicatori biologici come indicatori prognostici dell’MCI[1]. Comunque diverse meta-analisi non hanno fornito chiara evidenza del ruolo di alcuni esami quali la FDG-PET[4], la PET-amiloide[5] e marcatori liquorali[3] nel predire quali persone con MCI svilupperanno una demenza di tipo Alzheimer.
Un gruppo di ricerca australiano[2] ha allora provato a identificare precocemente gli MCI che si riveleranno una vera e propria demenza di tipo Alzheimer tramite una valutazione neuropsicologica di baseline.
La ricerca
Per raggiungere lo scopo, Bradfield[2] e collaboratori hanno sottoposto un gruppo di 725 persone anziane a valutazione neuropsicologica iniziale e poi a una rivalutazione dopo 3 anni, con i seguenti scopi:
- capire quali avessero sviluppato una vera e propria demenza di tipo Alzheimer
- comprendere quali fossero i deficit cognitivi che aumentano il rischio di questa demenza (memoria, attenzione, linguaggio, funzioni esecutive e capacità visuo-spaziali).
In base ai risultati della valutazione neuropsicologica di baseline, i soggetti classificati come MCI di tipo amnesico (aMCI) sono stati suddivisi in 2 sottocategorie in base al coinvolgimento di un solo dominio cognitivo o più domini cognitivi: MCI con sola compromissione di memoria (MCI amnesico a singolo dominio) ed MCI amnesico con diverse compromissioni cognitive (MCI amnesico multidominio).
Infine, in base alle performance nei test di memoria, è stata fatta un’ulteriore suddivisione per grado di compromissione: grado 1 (lieve) e grado 2 (grave).
Il livello di compromissione utilizzato è stato il seguente: prestazioni inferiori a 1,5 deviazioni standard rispetto alla media alla media (grado 1) e prestazioni inferiori a 2,29 deviazioni standard rispetto alla media (grado 2).
I risultati
Alcuni dati emersi erano abbastanza prevedibili mentre altri forse appaiono più interessanti:
- Tutti i sottogruppi di MCI di tipo amnesico avevano più probabilità di mostrare una demenza di tipo Alzheimer a distanza di 3 anni.
- I soggetti con MCI amnesico di grado 2 avevano un tasso di conversione in demenza più alto rispetto quelli di grado 1 (più lievi).
- Gli MCI amnesici multidominio avevano più probabilità di quelli a singolo dominio a distanza di tempo di rivelarsi delle demenze di Alzheimer.
- A distanza di 3 anni il 24% degli MCI progrediva verso una demenza (circa l’8% ogni anno).
- I soggetti più a rischio risultavano essere quelli con md-aMCI di grado 2, con un tasso annuale di conversione del 22%.
Conclusioni e spunti di riflessione
Durante una valutazione neuropsicologica per sospetto decadimento cognitivo è necessario valutare molti aspetti e non soltanto la presenza/assenza di un deficit cognitivo.
È importante che la valutazione sia estesa e che non si cada in un bias di conferma (per esempio “sospetto una demenza di tipo Alzheimer, allora mi limito a cercare i deficit più tipici di questo quadro clinico”) ma che si escludano anche altre condizioni (“se la mia ipotesi fosse errata potrei trovarmi queste altre manifestazioni cliniche quindi ne verifico/escludo l’assenza”).
Una valutazione estesa consente di rilevare o escludere diversi fattori di rischio che potrebbero far supporre che un quadro clinico di tipo MCI possa in realtà rappresentare una demenza in fase iniziale. Come abbiamo visto infatti dai risultati della ricerca, la presenza di più deficit cognitivi aumenta questo rischio e ancor di più se uno dei deficit è più grave, arrivando quasi a triplicare la probabilità di progressione verso una demenza di tipo Alzheimer.
Un elemento critico è dato dai diversi tipi di punteggio frequentemente adottati nel contesto italiano rispetto a quello internazionale: nella ricerca, i soggetti con MCI sono stati considerati di grado 2 (più gravi) se la loro performance nei test di memoria era inferiore di oltre 2,29 deviazioni standard rispetto alla media. In italia invece quasi mai nei test neuropsicologici vengono utilizzati punteggi in deviazioni standard. La prassi più consolidata invece è quella dei punteggi equivalenti che si distribuiscono in 5 fasce di prestazione che vanno da 0 a 4: il punteggio di 0 indica prestazioni inferiori all’incirca al 5° percentile della popolazione (solitamente definite come deficitarie) e un punteggio di 4 indica una prestazione uguale o superiore alla mediana (50° percentile della popolazione). Gli altri punteggi (1, 2 e 3) non hanno chiara collocazione “clinica”.
Detto in altri termini, le indicazioni derivanti dalla ricerca internazionale spesso trovano un ostacolo all’applicazione nel nostro Paese per via di una grande difformità rispetto agli altri.
Ciononostante ribadiamo come, per avere utili informazioni funzionali sullo stato attuale del paziente e importanti indicatori prognostici sul suo quadro clinico, sia imprescindibile una valutazione neuropsicologica estesa, cioè che non si limiti a un singolo dominio o, peggio ancora, a un test di screening (per esempio un MMSE).
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Bibliografia
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