Nel volume 12 (n.3, ottobre 2016) di Logopedia e Comunicazione è apparso un promettente studio  di Dellai, Gaio, Gollin e Gabelli sull’utilizzo di Skype nella riabilitazione logopedica a distanza di due individui colpiti da malattia di Alzheimer. Al di là dei risultati (positivi), è interessante notare l’elenco dei possibili vantaggi di Skype nella riabilitazione logopedica, in particolare:

  • possibilità di erogare un trattamento intensivo
  • maggiore flessibilità oraria e di spostamento
  • possibilità di proporre attività innovative
  • possibilità di attivare un feedback efficace
  • possibilità di promuovere la capacità di autocorrezione del paziente
  • possibilità di osservare il comportamento del paziente in contesto ecosistemico
  • incremento della percezione di autoefficacia da parte del paziente
  • possibilità di utilizzo della tecnica del Modeling
  • possibilità di usare paradigmi riabilitativi che facciano leva su presupposti di normalità e naturalità

Non meno importante questo vantaggio evidenziato nella parte iniziale dell’articolo:

Inoltre, la TR può essere rivolta a quei soggetti (generalmente giovani, in fase iniziale di malattia e spesso ancora inseriti nel circuito lavorativo) che, a causa dello stigma sociale che spesso si lega alle patologie neurodegenerative, non «vogliono» recarsi in ambulatorio (Dellai et al., 2016, p.357)

Ma in termini di efficacia,  quando e in che condizioni è utile la teleriabilitazione?

Una revisione sistematica del 2015 (Molini-Avejonas e altri, A systematic review of the use of telehealth in speech, language and hearing sciences) condotta su 103 articoli, la maggior parte dei quali pubblicati tra il 2008 e il 2014 (73.7%) negli Stati Uniti e in Australia (51.15%) e riguardanti udito (31.1%), speech (19.4%), linguaggio (16.5%), voce (8.7%), deglutizione (5.8%), più aree(13.6%) e altro (3.9%), ha concluso che nell’85.5% dei casi la teleriabilitazione ha portato dei vantaggi rispetto alla non-teleriabilitazione, nel 13.6% dei casi non era possibile stabilire la presenza o no di vantaggi, e solo nello 0.9% dei casi l’approccio non teleriabilitativo ha portato a vantaggi rispetto al primo.

Tra i vantaggi rilevati:

  • Il rapporto costi-benefici
  • Soddisfazione degli utenti

Tra i limiti principali:

  • La necessità di avere più dati per migliorare i software
  • L’accettazione di una proposta alternativa per il trattamento
  • La velocità di connessione
  • Altri limiti tecnologici

Va comunque tenuto in considerazione il fatto che la maggior parte degli articoli riguardava adulti e anziani.

AreaCondizioneArticoliBenefici
UditoSconosciuta (57,6%), Impianto cocleare (24,2%), Protesi acustiche (15,2%), Acufeni (3%)33Maggior facilità di accesso. Rapporto costi-benefici positivo
LinguaggioAfasia (41,2%), Spettro autistico (17,6%)17Soddisfazione degli utenti. Maggior facilità di accesso
SpeechBalbuzie (40%), Disartria (30%)20Più efficace ed economica rispetto alla terapia faccia a faccia (100% degli studi). Soddisfazione degli utenti
VoceParkinson (44,4%), Disfonia severa (44,4%), Paralisi del nervo laringeo (11,2%)9Miglior accesso al servizio. Possibilità di follow up tramite telemonitoraggio. Possibilità di inviare registrazioni via internet
DeglutizioneDisfagia6Migliorato accesso al servizio

L’ASHA, dopo aver pubblicato un position statement in cui affermava l’appropriatezza della teleriabilitazione, ha dedicato una sezione del suo sito a quella che definisce Telepractice:

Telepractice is the application of telecommunications technology to the delivery of speech language pathology and audiology professional services at a distance by linking clinician to client/patient or clinician to clinician for assessment, intervention, and/or consultation.

Nello stesso sito si trovano anche molte informazioni dettagliate come i requisiti (stato per stato), criteri per la selezione dei pazienti, aree su cui poterla esercitare. Molto importante la distinzione tra telepractice sincrona (che avviene in diretta, es: Skype) e asincrona (in cui il paziente svolge delle attività, conserva il materiale e lo invia successivamente).

Uno studio del 2015 (Hines e altri, Speech pathologist’s perspectives on transitioning to telepractice: what factors promote acceptance?), inoltre, individua i fattori da valutare per proporre un trattamento a distanza:

  • Rapporto terapeutico con i bambini
  • Collaborazione con genitori e insegnanti
  • Adeguatezza di tecnologie e risorse
  • Accesso ai supporti per la terleriabilitazione

Infine, uno studio di Keck e Doarn (Telehealth  technology applications in speech-language pathology, 2014) apre un dibattito interessante sull’effettiva applicabilità della teleriabilitazione davanti ai limiti tecnici (ad esempio, i problemi di instabilità delle videochiamate). Purtroppo, infatti, la necessità di avvalersi di strumenti di riabilitazione a distanza riguarda soprattutto le aree rurali, meno coperte (pensiamo all’Italia) da fibra o altre connessioni veloci. Una delle soluzioni è quella di appoggiarsi più su un trattamento asincrono.

In conclusione, quello che è possibile leggere tra le righe dei diversi studi è l’importanza di non avere un atteggiamento eccessivamente positivista o di totale sfiducia nei confronti della telelogopedia. Se ai sostenitori del primato del rapporto umano e personale si potrebbe ribattere citando l’efficacia mostrata negli studi appena elencati (nonché un pragmatico “meglio a distanza che nulla”), agli entusiasti delle nuove tecnologie è necessario ricordare che la realtà italiana presenta molte situazioni di arretratezza tecnologica e di formazione. Tra gli aspetti da valutare (oltre a quelli citati in precedenza) c’è, infatti, anche la conoscenza del computer (o del tablet) e la disponibilità a cimentarsi con un nuovo software. Infine, dal punto di vista dei software per la teleriabilitazione, la realtà italiana è estremamente povera rispetto a quella anglosassone, benché sia possibile “riadattare” alla seduta strumenti nati per altro, come ad esempio Skype.

Insomma, come spesso accade nella nostra professione, pur confortati dai dati positivi provenienti dalla ricerca, è necessario utilizzare una certa dose di buon senso e valutare la presenza di diversi elementi relativi all’ambiente, al paziente, ai caregiver e alle tecnologie prima di proporre un’esperienza di teleriabilitazione.

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