Oggi vogliamo affrontare un discorso diverso dal solito: come facciamo a capire se abbiamo perso alcune delle nostre abilità (come per esempio la memoria, la capacità di ragionare o di rimanere concentrati)? La risposta è più complicata di quanto l’intuito suggerisca e ora cercheremo di spiegarne il perché.
Cominciamo citando un caso reale. Amy Cuddy è una psicologa ricercatrice famosa a livello internazionale per molti suoi studi, in particolare quelli sul linguaggio e le posture del corpo, ma prima di poter iniziare la sua brillante carriera accademica dovette affrontare una sfida molto difficile: all’età di 19 anni, in seguito ad un trauma cranico dovuto a un incidente automobilistico, ebbe un calo del quoziente intellettivo (QI) di 30 punti; in seguito a questo fu anche espulsa dal college al quale era iscritta. Come accennato all’inizio, questa non fu la fine perché in seguito riuscì a riprendersi e a diventare negli anni un’affermata scienziata.
Partendo dalla storia appena accennata viene da porsi una domanda: come si fa a sapere se abbiamo avuto un calo nelle nostre capacità cognitive? Purtroppo questo non si può sapere con un semplice test perché gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione descrivono lo stato attuale delle nostre facoltà mentali ma difficilmente ci parlano del passato; quindi con un test del QI sapremmo il nostro funzionamento intellettivo odierno ma non quello di ieri (anche se si cerca di stimarlo in modo molto approssimativo con altri test).
E allora come si fa a sapere che Amy Cuddy ha perso 30 punti di QI a seguito dell’incidente? Semplice, era già stata sottoposta a questo tipo di test in passato (ottenendo oltretutto un punteggio molto alto).
Nella grande sfortuna che può rappresentare un simile incidente, avere a disposizione qualcosa che attesti il nostro stato precedente all’evento può essere importante. Pensiamo al discorso più banale: come fare a sapere che tipo di danni abbiamo subito? Se abbiamo la sensazione di aver subito un danno (sentiamo per esempio che la nostra memoria è cambiata sensibilmente) come lo dimostriamo?
Come già accennato, i test cognitivi ci informano sul nostro stato attuale ma non ci dicono molto di quello precedente all’esecuzione del test. Si potrebbe pensare che basta vedere che la prestazione è scarsa per affermare che si è subito un danno… purtroppo la risposta non è così semplice. Proviamo a spiegare anche questo.
Su qualunque funzione cognitiva le prestazioni degli individui di una popolazione cambiano molto da caso a caso. Si distribuiscono su una linea immaginaria continua che va dal deficit grave alla capacità eccellente. Scegliendo a caso una persona da una popolazione le sue prestazioni possono variare molto (normali, scarse, ottime…); è quindi possibile che una prestazione bassa in uno dei vari domini cognitivi non sia da imputarsi a un evento particolare (ictus o trauma cranico, per esempio) poiché una persona potrebbe aver avuto già delle difficoltà prima di tale evento. C’è inoltre il caso di persone con capacità molto superiori alla media che in seguito a un incidente possono avere una riduzione delle capacità; questa riduzione non si manifesterà necessariamente con una prestazione deficitaria rispetto alla media ma sarà comunque più bassa rispetto alle capacità prima dell’incidente, e ciò rappresenta in ogni caso un grave danno per la persona (ne è un esempio la già citata storia di Amy Cuddy). È molto frequente che persone affette da diverse malattie che potenzialmente potrebbero interessare il funzionamento cognitivo (per esempio, la sclerosi multipla) lamentino deficit che non vengono rilevati dai test. Se da una parte è possibile che le defaillance descritte dal paziente siano normali, è anche possibile che il paziente avesse in precedenza delle prestazioni superiori e che adesso, nonostante il calo, tali prestazioni rientrino nella normalità (riserva cognitiva). Tutto ciò però, come già detto, non è possibile dimostrarlo con un test.
Quindi, nel caso in cui avessimo la sensazione che le nostre capacità non siano più adeguate, è utile fare una diagnosi neuropsicologica? Certamente perché questa valutazione ci consente di sapere se il nostro funzionamento cognitivo è adeguato rispetto alle nostre attuali condizioni (come, per esempio, la nostra età), perciò ci darà informazioni preziosissime per sapere come intervenire. Quelle che difficilmente potremmo sapere in questo modo è se ci sia stato un calo e di quale entità (vedi qui: i test per valutare la memoria, i test per valutare le funzioni esecutive e i test per valutare l’attenzione)
Cosa fare allora? A nostro parere, l’unica forma di tutela personale in questo ambito è una valutazione neuropsicologica completa da tenere da parte e utilizzarla come attestazione delle nostre attuali capacità; possiamo vederla come una sorta di assicurazione riguardo al nostro stato di salute cognitiva, in vista di possibili cali futuri dovuti alle più svariate cause.
Certamente ci rendiamo conto che non si tratta di una scelta facile sotto diversi punti di vista: tanto per cominciare molte persone non vogliono sapere le loro capacità cognitive perché comprensibilmente temono di non esibire prestazioni adeguate (questa paura l’abbiamo avuta tutti, o quasi), inoltre si tratta di cominciare ad agire per tamponare una possibile sciagura ed è altrettanto comprensibile che fare una cosa del genere crei disagio (molto spesso preferiamo non pensare alle cose brutte che potrebbero accadere in futuro). In aggiunta a tutto ciò c’è una questione economica: sottoporsi a una diagnosi del genere a un costo.
In conclusione conviene fare o non fare una valutazione neuropsicologica quando ci sembra che le cose vadano tutte bene? A questo purtroppo non siamo in grado di dare risposta; tutto ciò che possiamo dire è che questa possibilità esiste, starà poi a ciascuno di noi decidere a cosa si preferisca pensare ma, qualunque sia la scelta, l’importante è esserne consapevoli.