“Mio figlio non parla, ma vedessi come usa il tablet! Sa fare tutto, è il più bravo della casa!”. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Come sapranno quelli che seguono questo sito, non sono affatto contrario a questo tipo di tecnologia e, insieme alle due colleghe di AppLogo, ho tenuto dei corsi centrati proprio sulla scelta delle migliori app a sostegno della terapia. Quella che intendo discutere in questo articolo è la falsa equazione tra la capacità di usare il tablet e le abilità cognitive (e, peggio ancora, linguistiche).
Per i motivi che vedremo le app sono progettate per essere il più possibile immediate e universali, facendo ricorso al linguaggio solo quando è strettamente necessario. Non deve stupire, dunque, il fatto che un bambino sia in grado di destreggiarsi tra app, gallerie e video; al massimo, dovrebbe stupire di più il fatto che molti adulti non riescano a farlo.
Dove sono le istruzioni? A differenza dei vecchi software, le app non hanno un manuale di istruzioni allegato. Si scaricano, si provano e (spesso in poco tempo) si decide se tenerle o cestinarle. Alla base del successo di un’app, dunque, c’è la capacità di spiegarsi da sé. Già dall’apertura, attraverso un piccolo tutorial o una disposizione estremamente chiara dei contenuti, deve indirizzare l’utente verso le mosse corrette. Per i motivi che vedremo in questo articolo, la maggior parte delle strategie utilizzate da chi progetta le app sono di tipo non verbale, un’intuizione che nasce molto tempo prima, ovvero agli inizi degli anni ’90 con i primi studi sull’usabilità dei siti web.
Tutta colpa degli adulti. L’utente modello a cui pensa un web designer non è sicuramente il bambino. Google, Amazon, Facebook sono usati soprattutto da adolescenti e adulti. Tuttavia, come misurato da decenni di studi sull’usabilità, davanti a uno schermo gli adulti si comportano da bambini. La navigazione è spesso nevrotica, il tempo passato a leggere le informazioni praticamente nullo. Qualche dato?
- Il neofita trascorre mediamente sull’home page 35 secondi, 60 su una pagina interna
- Il 51% degli utenti clicca il primo risultato trovato su Google, l’83% non va oltre i primi 5
- Probabilmente la maggior parte dei lettori ha abbandonato questo articolo prima della fine del secondo capitolo
È ormai celebre l‘articolo del 1997 in cui Jakob Nielsen si chiede “Come leggono gli utenti sul web?”, risposta nel sommario: “Non leggono”. Gli studi di eye-tracking hanno confermato questa intuizione. Tendiamo a leggere le prime righe dei primi paragrafi, siamo attratti dal grassetto, dagli elenchi puntati. Non leggiamo. Scansioniamo la pagina in cerca dell’elemento rilevante.

È necessario attrarre l’attenzione in pochi secondi, dunque è necessario che la pagina sia comprensibile già a un livello preverbale. Le teorie della Gestalt sono un gran punto di riferimento per questo tipo di approccio, e in generale tutte le leggi non scritte non verbali. Qualche esempio:
- Più grande = più importante
- Elementi raggruppati = stessa funzione
- Rosso = pericolo
In questo senso possiamo fare l’esercizio di escludere tutto il testo da una pagina web (se ben progettata, ovviamente): ci accorgeremo che già la disposizione degli elementi, i colori, le dimensioni dei caratteri e tanti altri indizi non verbali orienteranno la nostra percezione della gerarchia dei contenuti.
Un mondo di icone. Il mercato di un sito web o di un’applicazione è potenzialmente tutto il mondo. La necessità di immediatezza, unita alla necessità di ottenere un linguaggio il più universale possibile, ci dà un elemento usato (e a volte abusato) delle tecnologie digitali: le icone. Le icone sono i tre piccoli disegni che su facebook ci informano dei nuovi messaggi e delle nuove richieste di amicizia, sono quelle che ci fanno scrivere un nuovo messaggio su whatsapp, sono quelle che in ogni programma ci permettono di salvare il lavoro in corso. Le icone da un lato si poggiano sull’essere, appunto, icone, ovvero cercano di rappresentare nel modo più semplice ma più accurato il loro contenuto; dall’altro poggiano ormai su decenni di convenzioni, per cui anche se alle nuove generazioni il floppy disk non dice nulla, a forza di vederlo apparire come simbolo del salvataggio su diverse applicazioni (Word, PowerPoint, Excel), ha ormai assunto quel significato.
Tutto si richiama. Quest’ultimo punto è estremamente importante. I siti web ben fatti si somigliano tutti. Le applicazioni ben sviluppate poggiano sugli stessi criteri di usabilità. Le icone, per essere davvero efficaci, devono essere, pur con minime variazioni stilistiche, sempre quelle (pensiamo ai pulsanti “ridimensiona”, “ingrandisci” e “chiudi” in ogni finestra). Questo fenomeno velocizza l’apprendimento dei nuovi programmi. Se la maggior parte dei comandi risponde allo stesso modo, farò molta meno fatica a imparare il nuovo programma perché non dovrò imparare tutte le funzioni (apri, salva, chiudi), ma solo quelle caratteristiche.
Adesso è ancora più facile! L’avvento dei dispositivi touchscreen (come cellulari e smartphone) ha eliminato l’ultimo, grande ostacolo all’immediatezza d’uso: il passaggio attraverso il mouse. Per i più piccoli, infatti, la differenza tra il gesto e il riconoscimento del puntatore come simulacro visivo è abissale:
“Jobs fu molto colpito da un articolo, che mi inoltrò, di Michael Noer su Forbes.com.
Noer stava leggendo un romanzo di fantascienza nel suo iPad durante una permanenza in un allevamento di bovini da latte in un’area rurale a nord di Bogotà, in Colombia, quando un bimbo di sei anni che puliva le stalle gli si avvicinò. Curioso, Noer gli porse il suo apparecchio: senza istruzioni e non avendo mai visto prima un computer, il bambino cominciò a usarlo intuitivamente, strisciando le dita sullo schermo per lanciare applicazioni e giocare a flipper.
«Steve Jobs ha progettato un computer meraviglioso se un bambino analfabeta di sei anni può usarlo senza istruzioni» scrisse Noer «E se questa non è magia, non so proprio che cosa sia».”
Walter Isaacson, Steve Jobs
Se il gesto sullo schermo è uguale al gesto nel mondo reale, anche gli elementi dello schermo devono reagire come elementi reali. Molti si stupiscono della naturalezza con cui i bambini eseguono le azioni su un dispositivo, ma è proprio il contrario! Gli esperti hanno adattato la risposta del dispositivo per essere quella più vicina alle attese dell’utente. Se molte persone scorrendo lo schermo da sinistra a destra si aspettano che il programma si chiuda, i programmatori faranno in modo che questa aspettativa si realizzi..
Gli elementi delle app sono continuamente ridisegnati nel loro aspetto, nelle loro animazioni e nelle conseguenze per dare un effetto di naturalezza. Se faccio un tocco, mi aspetto che il pulsante appaia schiacciato. È sempre il programmatore a immaginare l’azione dell’utente, mai il contrario.
Per vedere a che livello di dettaglio si sia arrivati, leggiamo quelloe che recitano le linee guida di Google per il material design:
A material metaphor is the unifying theory of a rationalized space and a system of motion. The material is grounded in tactile reality, inspired by the study of paper and ink, yet technologically advanced and open to imagination and magic.
Surfaces and edges of the material provide visual cues that are grounded in reality.
Seguono decine e decine di istruzioni che spiegano nei minimi dettagli (dalla distanza tra gli elementi agli angoli delle ombre, fino alle animazioni) come deve comportarsi un elemento sullo schermo per dare l’idea di essere “materiale”.


Tirando le somme. Concludo citando uno dei miei libri preferiti sull’usabilità: “Don’t make me think!” di Steve Krug. Il titolo riflette proprio l’obiettivo della buona progettazione: la pagina deve essere immediata, non deve richiedere troppi ragionamenti. Ecco, teniamo a mente che l’utente “ideale” agisce sulla pagina e sull’app con la minor mediazione cognitiva possibile. Questo non vuole essere un atto di accusa a chi si occupa di usabilità, tutt’altro. Gli studi accennati all’inizio riferiscono che davanti allo schermo abbiamo tutti tempi di attenzione molto ridotti e non amiamo l’eccessiva elaborazione. Per chi progetta un sito web fare una pagina troppo complessa significa perdere un potenziale utente. Per noi adulti è importante che in un sito gli elementi siano in una determinata posizione, che i testi siano brevi ed efficaci, che le icone siano significative. Questo aiuta tantissimo anche i bambini.
Anche loro, infatti, riescono generalmente a orientarsi in buona parte delle applicazioni presenti sul tablet e sul cellulare. Aprono le gallerie, guardano le foto e i video, cercano le loro canzoni. Questo non è dovuto a particolari capacità del bambino quanto al fatto che le migliori applicazioni sono progettate in modo tale da non richiedere – o richiedere al minimo – competenze di tipo verbale. Inoltre, la maggior parte delle applicazioni si basa sulle stesse convenzioni, per cui a comportamenti simili corrispondono reazioni simili. Infine, il tablet, con l’immediatezza del tocco e del trascinamento, ha diminuito le richieste dovute alla mediazione del mouse; le migliori applicazioni sono progettate per dare al tocco un feedback quanto più vicino possibile a quello di un materiale reale.
Insomma, scorrendo, navigando e trascinando i bambini confermano l’obiettivo del progettista di ‘naturalizzare’ il digitale, laddove gli elementi reagiscono alle pressioni e agli spostamenti con consistenza e affidabilità come se fossero, né più né meno, elementi del mondo come tutti gli altri.
Per fortuna c’è anche del buono! Lo scopo di questo articolo non è quello di demonizzare l’uso del tablet e delle app. Esistono diverse evidenze sull’utilità di alcune app nello sviluppo del linguaggio e degli apprendimenti. Con le colleghe Caterina Puntieri e Lia Mastrogiacomo abbiamo tenuto diversi corsi proprio sulla scelta delle migliori app a supporto della terapia logopedica. Nel caso dei DSA esistono anche soluzioni dedicate come EdiTouch che funzionano da veri e propri strumenti compensativi. Soprattutto fuori dall’Italia, esistono anche evidenze di efficacia nell’uso del tablet nella riabilitazione del paziente afasico adulto. L’importante è da un lato non sovrastimare le competenze del bambino, dall’altro scegliere accuratamente applicazioni che stimolino le sue capacità cognitive e linguistiche anziché assecondarle, sempre nel rispetto delle indicazioni dei pediatri su tempi e modi d’uso. L’associazione americana dei pediatri (AAP), ad esempio, ha recentemente diramato un documento in cui sconsiglia categoricamente il contatto col tablet al di sotto dei 18 mesi. A partire da questa età, con un’attenta supervisione del genitore e per periodi inizialmente molto limitati, l’uso ragionato del tablet può avere un ruolo nello sviluppo comunicativo del bambino.