Dorta, bepre, buolo… Si possono considerare vuoti accidentali della lingua, ovvero parole che potrebbero avere un senso in italiano, ma che non ce l’hanno solo perché, nel corso dei secoli, nessuno glielo ha assegnato. Non è detto, infatti, che questo significato non lo abbiano già in una lingua diversa dall’italiano (o in un dialetto locale) o che non lo acquistino in futuro. Per questo motivo vengono definite non-parole (in inglese pseudowords)

Un aspetto importante, e per certi versi controverso, è che le non-parole comunemente utilizzate nei test di lettura rispettano la fonotassi della lingua italiana. In parole povere, anche se non sono parole dell’italiano, potrebbero esserlo perché rispettano le sequenze di vocali e consonanti ammissibili nella nostra lingua. Prendiamo, ad esempio, il nostro Generatore di non parole e impostiamo una struttura (es: CV-CVC-CV). Ad ogni click otterremo alcune non-parole: zefalfi, lidetre, gupecca. Come vedete, rispettano tutte le regole di composizione dell’italiano. Non otterremo, insomma, non parole come: qalohke o puxaxda.

Il motivo per cui si utilizzano le non-parole, in lettura e in scrittura, è che permettono di indagare la cosiddetta via fonologica, ovvero quel meccanismo che ci permette di decodificare i “pezzi” di ogni parola e convertirli, a poco a poco, in grafemi (nel caso della scrittura) o in suoni (nel caso della lettura ad alta voce). La via fonologica è una via particolarmente utile nella lettura di parole straniere o sconosciute, ma si rivela molto lenta per le parole che conosciamo (queste parole, infatti, le leggiamo “a colpo d’occhio” attivando la cosiddetta via lessicale). Dal confronto tra la via fonologica e la via lessicale si possono formulare ipotesi sulla presenza o meno della dislessia in un bambino o un adulto.

Un altro motivo valido per utilizzare le non-parole è il fatto che, non esistendo in italiano, sono considerate molto più “neutre” per la valutazione di bambini, ragazzi e adulti che non parlano l’italiano come L1. Infatti, è difficile aspettarsi che un ragazzo meno esposto all’italiano riesca a leggere le parole con la stessa rapidità di chi vi è esposto da anni, mentre si ritiene che le non parole possano mettere in difficoltà entrambi allo stesso modo, in quanto dovrebbero essere nuove per entrambi. Ma sarà vero?

In realtà ci sono almeno due aspetti critici che fanno riferimento proprio a quanto abbiamo detto in precedenza:

  • Una non-parola è, a tutti gli effetti, una parola non esistente e dovrebbe essere decodificata per intero. Tuttavia, tutte le non-parole che abbiamo scritto all’inizio di questo articolo (dorta, bepre, buolo) sono estremamente somiglianti a parole esistenti in italiano (porta, lepre, buono o suolo); possiamo essere sicuri che la non-parola venga decodificata per intero? La parola “tamente” e la parola “lurisfo” sono lette con la stessa rapidità o la prima risente della presenza del suffisso -mente utilizzato con estrema frequenza in italiano? In questo senso si parla di “word-likeness” delle non-parole: sono parole inventate, ma a volte molto – troppo – simili a parole realmente esistenti. Questo potrebbe avvantaggiare un lettore nativo italiano rispetto a chi è meno esposto e potrebbe attivare, parzialmente, la via lessicale (cosa che volevamo evitare). Per quanto riguarda l’adulto, ad esempio, ritengo estremamente più indicative le dys-parole della batteria BDA 16-30.
  • Le non-parole utilizzate nella valutazione della lettura rispettano la fonotassi dell’italiano e non, ad esempio, quella del norvegese o del tedesco. Questo fenomeno potrebbe avvantaggiare un lettore italiano rispetto a un norvegese o tedesco, e farebbe dunque cadere la presunta neutralità delle non-parole.

Nonostante questi limiti, le non-parole sono ampiamente utilizzate nella valutazione e nel trattamento della via fonologica in lettura o in scrittura, sia nel bambino che nell’adulto. In quest’ultimo ambito sono importantissimi gli studi della professoressa Basso che considera le non parole come unico metodo per essere sicuri di lavorare sulla via fonologica. Per esperienza personale, tuttavia, ho riscontrato parecchie difficoltà a impostare lavori duraturi sulle non-parole, soprattutto perché le persone afasiche a volte fanno fatica a riconoscere l’esistenza o meno di una parola, e il lavorare su parole inventate viene considerato come fonte di confusione e perdita di tempo. Molti pazienti, infatti, spingono per recuperare parole realmente esistenti, e mal digeriscono il lavoro sulle non-parole.

In definitiva, le non-parole restano soprattutto uno strumento fondamentale per farsi un’idea dei meccanismi attivi e utilizzati in lettura; il confronto con le parole sia in termini di velocità che accuratezza fornisce informazioni preziose sulle strategie utilizzate dal soggetto e permette di impostare un lavoro abilitativo o riabilitativo ben fondato.

Può interessarti anche: