Con questa parola si intende genericamente un meccanismo cognitivo che ci consente di dare rilevanza ad alcuni stimoli, scartandone altri.

Indipendentemente da quanto può sembrare chiaro il concetto, gli scienziati non sono ancora giunti a una definizione (con annesse spiegazioni) condivisa sull’argomento. Quello su cui indubbiamente concordano è che non ha senso parlare di un unico tipo di attenzione quanto piuttosto di più processi di elaborazione delle informazioni che operano a differenti livelli. Quindi, se c’è una cosa su cui ci si può esprimere in modo chiaro è questa:

esistono differenti tipi di attenzione

Quali? Ecco, qui la questione si fa più complessa…

Diversi tipi di attenzione

Per evidenti ragioni di spazio e per il tipo di trattazione che ci interessa, non è qui possibile entrare nel merito dei vari modelli teorici (con tutte le loro criticità) ma proviamo comunque a dare un rapido sguardo a quello che è forse viene maggiormente preso a riferimento in neuropsicologia: in questo modello teorico si dà risalto a due dimensioni, una di intensità (capacità di rispondere agli stimoli ambientali per tutta la durata di un’azione da compiere) e l’altra di selettività (focalizzazione su stimoli rilevanti a scapito di quelli irrilevanti).

Riguardo all’intensità, si citano di solito queste componenti attentive:

  • allerta, cioè la semplice prontezza di risposta agli stimoli;
  • attenzione sostenuta (vigilanza), cioè la capacità di mantenere la capacità di rispondere a tali stimoli per tutto il tempo necessario all’esecuzione di un compito.

Riguardo alla selettività, queste sono le componenti dell’attenzione prese in esame:

  • attenzione focalizzata, cioè la capacità di selezionare solo gli stimoli importanti per un determinato compito, ignorando quelli distraenti;
  • attenzione divisa, ovvero la capacità di distribuire le proprie risorse attentive tra due o più compiti da eseguire contemporaneamente.
  • attenzione alternata, che riguarda la capacità di eseguire più compiti spostando le proprie risorse attentive da un compito all’altro, in modo alternato, per poter svolgere più compiti in parallelo.

Come si può notare da questo sintetico (e semplificato) elenco non ha senso parlare di attenzione in generale, non quando si compie una valutazione diagnostica almeno. In più il tutto si complica perché, partendo dalle componenti attentive più basiche (allerta) a quelle più elevate (attenzione alternata), diventa sempre più difficile dissociare queste capacità dalle competenze cognitive più “strategiche” dette funzioni esecutive (vedi qui per una breve trattazione). Senza entrare nel dettaglio di questo ulteriore settore, ci preme far riflettere sull’importanza di tenere in considerazione questi aspetti quando si cerca di comprendere in ambito clinico le difficoltà scolastiche dei ragazzi.

Attenzione e difficoltà a scuola

A fronte di tutto ciò diventa fondamentale sapere se uno studente possa avere difficoltà nel mantenere l’attenzione per tempi prolungati: pensiamo a quanto questo possa gravare sul rendimento scolastico. Quanto dura mediamente una giornata a scuola?

Non è di certo meno importante indagare se una persona fatica a rimanere concentrata su un compito senza lasciarsi distrarre da stimoli interferenti: in un’aula, l’unica fonte di stimoli è data dalla lavagna e dalla voce dell’insegnante?

E che dire della capacità di gestire in modo più “strategico” (o flessibile) le proprie risorse attentive in base alle richieste del contesto?

Nonostante appaia ovvio tener conto di tutte queste informazioni (e molte altre) capita frequentemente di leggere relazioni diagnostiche in cui si parla di generiche difficoltà di attenzione (sì ma quale tipo di attenzione?!), difficoltà che spesso non vengono neppure indagate oppure ciò viene fatto in modo molto sommario (soltanto con il famoso Test delle Campanelle e qualche questionario per genitori e insegnanti).

Tenendo conto degli obiettivi di una diagnosi (comprendere le cause delle difficoltà e valorizzare i punti di forza), che indicazioni se ne traggono se questa non è abbastanza approfondita e dettagliata?

Si parla tanto, e giustamente, di personalizzazione della didattica e a questo punto la domanda è d’obbligo: una diagnosi che non va nel dettaglio delle difficoltà di un ragazzo, che aiuto potrà mai dare, per esempio, nella stesura di un piano didattico personalizzato?

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