L’idea che le aree di debolezza debbano essere accettate, concentrandosi piuttosto sui punti di forza, ha preso sempre più piede negli ultimi anni. È molto frequente sentire alcune persone dire “non ho una mente matematica” oppure “sono una persona creativa, non tecnica”. È possibile rinforzare questa idea confortando gli studenti in difficoltà con la matematica, demotivandoli al punto da ridurre l’impegno in questa materia?
Tale quesito spinse un gruppo di ricerca[1] a indagare gli effetti che potrebbe provocare l’utilizzo di strategie “consolatorie” da parte dei docenti di matematica nei confronti di studenti a basso rendimento in questo ambito.
Nello specifico, i ricercatori decisero di rispondere alle seguenti domande:
- Ritenere l’”intelligenza matematica” immutabile (piuttosto che modificabile) avrebbe comportato, da parte di un professore, un giudizio più affrettato sulle capacità di un ipotetico studente?
- Ritenere le capacità matematiche immutabili (piuttosto che modificabili) avrebbe comportato pratiche pedagogiche basate sulla consolazione dello studente in difficoltà e sulla diminuzione del suo impegno richiesto in ambito matematico?
- L’idea del docente sulle capacità matematiche immutabili (invece che modificabili) sarebbe stata percepita dallo studente, comportando una demotivazione nello studio della matematica da parte dello stesso?
Per cercare di rispondere ai precedenti quesiti i ricercatori misero a punto i seguenti diversi studi.
Studio 1
Vennero reclutati 41 studenti di un’università privata americana chiedendo loro innanzitutto di compilare un questionario costruito per indagare la loro idea sulle capacità matematiche delle persone (immutabili o modificabili?). Successivamente venne chiesto a ciascuno studente di immaginare di essere un professore di matematica, col compito di giudicare la prestazione di uno studente con un voto basso nella prima prova di matematica dell’anno. Il “professore” aveva il compito di dire quanto la bassa performance fosse dipesa da poca intelligenza matematica e quanto da scarso impegno.
I risultati mostrarono che più si riteneva immutabile la capacità matematica, più si attribuiva l’insuccesso dello studente a una sua incapacità (viceversa per chi riteneva la capacità matematica modificabile).
A questo punto ci si potrebbe domandare: le credenze riguardo alla malleabilità dell’intelligenza matematica portano a modificazioni nelle pratiche pedagogiche?
Studio 2
Vennero reclutati 95 studenti universitari che dividendoli in due gruppi: al primo gruppo venne fatto leggere un articolo “scientifico” in cui si spiegava che l’88% delle capacità matematiche di una persona dipendono da fattori genetici, mentre al secondo gruppo venne fatto leggere un articolo in cui si affermava il contrario, cioè che l’88% delle capacità matematiche dipendono dalla volontà del soggetto di svilupparle (dal suo impegno). I soggetti di entrambi i gruppi dovevano, ancora una volta, immaginare di essere professori di matematica.
A questo punto, riproponendo loro la situazione precedentemente descritta, venne chiesto a ciascun “professore” di decidere come avrebbe comunicato gli esiti del compito di matematica allo studente con basso profitto, e di conseguenza quali strategie avrebbe adottato per far fronte alle sue difficoltà.
I risultati indicarono che chi aveva letto l’articolo sull’intelligenza matematica predeterminata geneticamente tendeva ad attribuire gli scarsi risultati nel compito di matematica a scarsa capacità invece che ha scarso impegno e, cosa forse più interessante, tendeva a consolare lo studente, riferendo inoltre di voler mettere in pratica strategie volte a ridurre l’impegno in questa materia da parte dello studente (per esempio, minor quantità di esercizi).
Finora abbiamo parlato di studenti che immaginano di agire nei panni di un professore. Come si comporterebbe invece un vero professore di matematica?
Studio 3
Vennero reclutati 41 laureati in matematica o in settori affini, che fossero anche abilitati all’insegnamento della matematica. Anche in questo caso fu creato uno scenario simile a quello descritto per i precedenti studi, nel quale il professore si trovava a giudicare quanto la performance negativa di uno studente in un test di matematica derivasse dalle scarse capacità piuttosto che da scarso impegno. Coerentemente con i precedenti studi, chi riteneva la capacità matematica un’entità fissa tendeva ad attribuire gli insuccessi alle scarse capacità. Inoltre, gli stessi docenti tendevano a comunicare gli esiti negativi di un test di matematica in maniera consolatoria e a utilizzare strategie pedagogiche volte al disinvestimento in matematica (per esempio invitando lo studente a non scegliere corsi incentrati su questa materia), attendendosi da loro scarsi risultati in futuro.
Adesso passiamo al punto di vista dello studente. Che effetto ha sugli studenti questa comunicazione consolatoria dei risultati?
Studio 4
Vennero reclutati 44 studenti da un’università privata americana e venne chiesto loro di immaginare di aver fallito un esame di matematica. A questo punto i soggetti vennero divisi in 3 gruppi:
- Un primo gruppo riceveva una comunicazione dei risultati in maniera consolatoria (per esempio, “so che sei un bravissimo studente in altre materie ma non tutti abbiamo una mente matematica. Farò in modo di chiamarti il meno possibile in classe per non metterti pressione e ti darò esercizi semplificati. Rimaniamo in contatto”)
- Il secondo gruppo riceveva una comunicazione degli stessi risultati basata su un cambio di strategie volte a incrementare le performance (per esempio, “so che sei uno studente talentuoso e voglio cambiare la tua strategia di studio, magari insieme a un tutor. Ti chiamerò più spesso e ti darò compiti più impegnativi. Rimaniamo in contatto”)
- Al terzo gruppo venivano comunicati i risultati con alcune frasi utilizzate per gli altri gruppi ma senza consolazioni e senza strategie pedagogiche proposte (per esempio, “so che sei uno studente talentuoso. Rimaniamo in contatto”).
I risultati mostrarono che gli studenti nel gruppo “consolazione” percepivano da parte dell’ipotetico professore la sua idea di intelligenza matematica immutabile, così come basse aspettative ed investimento nei loro confronti. Gli stessi studenti, ricevendo risposte consolatorie e di riduzione dell’impegno, riferivano di sentirsi meno motivati e meno incoraggiati rispetto a quelli che ricevevano gli altri feedback, aspettandosi inoltre di avere risultati più scarsi alla fine dell’anno.
Confrontando i tre gruppi, quelli che percepivano maggior stima da parte del professore erano quelli del gruppo a cui veniva comunicato il basso voto spiegando che sarebbero state messe in atto strategie volte ad aumentare l’impegno nella materia.
Conclusioni
I professori che ritengono le capacità matematiche innate e immutabili tenderebbero a giudicare più frettolosamente gli studenti basandosi su una singola prova iniziale. Gli stessi professori sarebbero quelli più propensi a consolare gli studenti in difficoltà con la matematica, tendendo a ridurre il loro impegno poiché nutrono poche aspettative di miglioramento.
Benché le strategie dei docenti volte a consolare e ridurre l’impegno da parte dello studente abbiano l’obiettivo di diminuire le sue frustrazioni, il risultato sembrerebbe produrre effetti moto differenti: gli studenti percepirebbero scarsa motivazione ad impegnarsi in matematica e scarse aspettative nei loro confronti da parte dei professori.
Sulla base di questi risultati gli autori della ricerca[1] ipotizzano che un sistema di istruzione basato sull’accettazione delle difficoltà e sulla focalizzazione sui punti di forza potrebbe essere meno positivo di quanto si pensi, col rischio di scoraggiare gli studenti a perseverare nei propri sforzi di fronte alle difficoltà.
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