Chi lavora nell’ambito della psicologia dell’apprendimento, dell’istruzione, della pedagogia o dell’educazione finisce sistematicamente per imbattersi nella questione degli “stili di apprendimento”. I concetti di fondo che di solito si cercano di far passare sono principalmente due:
- ogni individuo ha la sua peculiare modalità di apprendere (per esempio, visiva, uditiva o cinestetica);
- ogni individuo apprende meglio se le informazioni gli vengono presentate nella modalità congruente al suo stile di apprendimento.
Sono concetti affascinanti, che indubbiamente danno una prospettiva meno rigida del contesto di apprendimento (che spesso viene percepito come “stantio”); permettono di guardare alla scuola (e non solo) come a un contesto potenzialmente dinamico e con un’istruzione personalizzata, quasi sartoriale.
Ma le cose stanno realmente così?
Qui arriva la prima brutta notizia.
Aslaksen e Lorås[1] hanno condotto una piccola revisione della letteratura scientifica sull’argomento andando a sintetizzare i risultati delle principali ricerche; quello che hanno osservato, dati alla mano, è semplicemente questo: insegnare secondo lo stile di apprendimento preferito dall’individuo (per esempio, presentare le informazioni in formato visivo per le persone “visualizzatrici”) non apporterebbe alcun beneficio quantificabile rispetto a chi studia in una modalità diversa dalla preferita.
In questo senso, l’approccio di molti insegnanti andrebbe allora rivisto, soprattutto considerando la mole di lavoro aggiuntivo che comporta modificare la didattica seguendo le indicazioni di ciò che appare un neuro-mito piuttosto che un dato di fatto.
Qual è allora il rapporto fra la modalità di insegnamento e le credenze rispetto agli stili di apprendimento?
Qui arriva la seconda brutta notizia.
Un’altra revisione della letteratura scientifica sull’argomento[2] ha messo in luce che la netta maggioranza degli insegnanti (89,1%) sembra essere convinta circa la bontà dell’istruzione basata proprio sugli stili di apprendimento. Non più incoraggiante è che questa convinzione non si modifichi in maniera significativa andando avanti con anni di lavoro nell’ambito (anche se, va detto, gli insegnanti e gli educatori con maggior livello di istruzione sembrano quelli meno convinti da questo neuro-mito).
Cosa fare allora?
Qui arriva la prima buona notizia.
Il passo iniziale potrebbe essere quello di diffondere corrette informazioni durante la formazione dei futuri insegnanti ed educatori; questo no, non sembra proprio tempo perso: infatti, all’interno della stessa revisione della letteratura si riscontra che, dopo specifici training, cala drasticamente la percentuale di insegnanti ancora convinti dell’utilità di un approccio basato sugli stili di apprendimenti (nei campioni esaminati, si passa da un’iniziale media del 78,4% a una del 37,1%).
Bene, qualcuno ora si starà domandando in quale modo si possa migliorare l’apprendimento degli studenti visto che l’approccio basato sullo stile di apprendimento non pare efficace.
Bene, ecco allora la seconda buona notizia: tecniche per insegnare e apprendere realmente efficaci (dimostrate sperimentalmente) ce ne sono e già abbiamo dedicato loro un articolo. Inoltre, prossimamente torneremo sull’argomento con un altro articolo sempre dedicato alle tecniche più efficaci.
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Bibliografia
- Aslaksen, K., & Lorås, H. (2018). The modality-specific learning style hypothesis: a mini-review. Frontiers in psychology, 9, 1538.
- Newton, P. M., & Salvi, A. (2020, December). How common is belief in the learning styles neuromyth, and does it matter? A pragmatic systematic review. In Frontiers in Education(Vol. 5, p. 270). Frontiers.