Come suggerisce il titolo dell’articolo, ci siamo già dedicati a questo argomento, sia parlando di tecniche efficaci, sia parlando di neuromiti e tecniche inefficaci. Ci siamo addentrati anche sulle personalizzazioni per favorire l’apprendimento in presenza di particolari disturbi (per esempio, dislessia e deficit della memoria di lavoro).
Più nel dettaglio, rifacendoci a una review di Dunlosky e colleghi[1], avevamo stilato un elenco di 10 tecniche passate al vaglio della ricerca scientifica, alcune molto efficaci e altre poco utili, descrivendone pregi e difetti.
Oggi vogliamo aggiornare il discorso precedentemente iniziato e passeremo in rassegna 6 tecniche; alcune di queste verranno ripetute rispetto al precedente articolo, altre le vedremo per la prima volta. Tutte queste tecniche, stando a una revisione della letteratura su cui ci baseremo di Weinstein e colleghi[2], hanno in comune una cosa: sono tutte efficaci.

Quali sono queste tecniche?

1 – PRATICA DISTRIBUITA

In cosa consiste. Si tratta di dilazionare le fasi di studio e, soprattutto, di ripasso anziché concentrarle in un’unica sessione (o poche sessioni ravvicinate). Quello che si è osservato è che, a parità di tempo dedicato ai ripassi, le persone che svolgono queste attività in sessioni distanziate nel tempo apprendono in maniera relativamente più rapida, e le informazioni restano più stabili in memoria.

Esempi di come applicarla. Può essere utile creare occasioni dedicate al ripasso degli argomenti svolti nelle settimane o nei mesi precedenti. Questo può apparire comunque difficoltoso per via del poco tempo a disposizione, insieme alla necessità di coprire tutto il programma di studio; tuttavia, il distanziamento delle sessioni di ripasso può essere raggiunto senza eccessivi problemi per gli insegnanti se questi ultimi dedicano qualche minuto in classe per rivedere le informazioni delle lezioni precedenti.
Un altro metodo potrebbe consistere nel delegare agli studenti l’onere di organizzarsi per i ripassi distribuiti nel tempo. Naturalmente, questo funzionerebbe meglio con gli studenti di livello superiore (per esempio, scuola secondaria di secondo grado). Poiché il distanziamento richiede una pianificazione anticipata, è fondamentale però che l’insegnante aiuti gli studenti a pianificare il loro studio. Ad esempio, gli insegnanti potrebbero suggerire agli studenti di programmare sessioni di studio in giorni che si alternano a quelli in cui viene studiata una determinata materia in classe (per esempio, pianificare sessioni di ripasso il martedì e il giovedì se la materia viene trattata a scuola il lunedì e il mercoledì).

Criticità. Una prima criticità riguarda la possibile confusione fra il distanziamento dei ripassi e il semplice dilazionamento dello studio; la tecnica, in realtà, prevede principalmente che a essere dilazionate nel tempo siano le fasi di ripasso. Mentre per il distanziamento delle fasi di ripasso sono già noti gli effetti positivi, non si conoscono bene gli effetti dello studio dilazionato.
Una seconda criticità è che gli studenti potrebbero non sentirsi a loro agio con la pratica distribuita perché percepita come più difficile rispetto ai ripassi concentrati nella stessa fase di studio. Questa percezione, in un certo senso, corrisponde alla realtà poiché, da un lato, dilazionare i ripassi nel tempo rende più faticoso il recupero delle informazioni e, dell’altro lato, la pratica di studio intensiva apparentemente funziona (è più rapida), soprattutto nelle circostanze in cui lo studio è volto soltanto a superare un esame. Bisogna sempre considerare, però, l’utilità della pratica distribuita laddove sia importante trattenere in memoria le informazioni per molto tempo.

Aspetti che necessitano ancora di essere chiariti. Mancano ricerche che studino gli effetti del distanziamento dello studio di informazioni diverse nel tempo, cercando di comprendere se quanto detto per i ripassi distanziati nel tempo valga anche in questo caso.
Al di là dell’indubbia utilità della pratica distribuita, andrebbe compreso se comunque anche una fase di pratica intensiva sia necessaria o consigliabile.
Non è mai stato neanche chiarito quale sia l’intervallo ottimale tra le fasi di ripasso e recupero delle informazioni affinché sia massimizzato l’apprendimento.

2 – PRATICA ‘INTERLEAVED’

In cosa consiste. Questa tecnica consiste nell’affrontare in sequenza diverse idee o tipi di problema, in contrasto con il metodo più comune di affrontare versioni dello stesso problema in una determinata sessione di studio. È stata testata numerose volte con l’apprendimento di concetti di matematica e fisica.
Si ipotizza che il beneficio di questa tecnica risieda nel permettere agli studenti di acquisire la capacità di scegliere il metodo giusto per risolvere diversi tipi di problemi piuttosto che imparare solo il metodo stesso e non quando applicarlo.
In realtà, la pratica ‘interleaved’ è stata applicata con successo anche altri tipi di contenuti da apprendere, per esempio, in ambito artistico ha permesso agli studenti di imparare meglio ad associare una determinata opera al suo corretto autore.

Esempio di applicazione. Può essere applicata in molte maniere. Un esempio può essere quello di mescolare problemi che riguardano il calcolo del volume di diversi solidi (invece di fare molti esercizi consecutivi con lo stesso tipo di solido).

Criticità. Le ricerche si sono concentrate sull’alternanza di esercizi fra loro collegati, quindi, è necessario fare attenzione a non mescolare contenuti troppo differenti fra loro (mancano studi su questo). Dal momento che è facile per gli studenti più giovani confondere questo tipo di alternanza inutile (e forse controproducente) con l’alternanza più utile di informazioni fra loro correlate, potrebbe essere meglio per gli insegnanti degli studenti più giovani creare opportunità per la pratica ‘interleaved’ nei compiti a casa e nei quiz.

Aspetti che necessitano ancora di essere chiariti. Tornare ripetutamente ad argomenti precedenti durante il semestre interrompe l’apprendimento di nuove informazioni? In quale modo possono essere alternate vecchie e nuove informazioni? Come si determina l’equilibrio tra vecchie e nuove informazioni?

3 – PRATICA DEI RECUPERI/VERIFICHE

In cosa consiste. È una delle tecniche più efficaci e anche più facili da applicare. Semplicemente, si tratta di rievocare quanto già studiato, sia tramite un’autoverifica, sia tramite verifiche formali. L’atto stesso del richiamare le informazioni dalla memoria contribuisce a consolidare le informazioni. Questa pratica funziona anche se le informazioni si richiamano a mente senza verbalizzarle. L’efficacia è stata testata anche confrontando i risultati con studenti che, anziché richiamare le informazioni dalla memoria, andavano a rileggere le informazioni precedentemente studiate (la pratica dei recuperi dalla memoria si dimostrava superiore nei risultati!).

Esempio di applicazione. Una modalità di applicazione molto semplice può essere quella di invitare gli studenti a trascrivere tutto quello che ricordano di un determinato argomento studiato.
Un altro semplice modo è quello di fornire agli studenti domande di verifica a cui rispondere dopo aver studiato qualcosa (sia in itinere, sia al termine della fase di studio) o fornire suggerimenti per richiamare le informazioni oppure chiedere loro di creare mappe concettuali sull’argomento basate sulle informazioni che ricordano.

Criticità. L’efficacia della tecnica dipende in una certa misura anche dal successo nei tentativi di recupero delle informazioni dalla memoria e, al tempo stesso, il compito non deve essere troppo semplice per garantire tale riuscita. Se, per esempio, lo studente copre le informazioni subito dopo averle lette e poi le ripete, non si tratta di un richiamo dalla memoria a lungo termine ma di un semplice mantenimento in memoria di lavoro. Al contrario, se i successi sono estremamente bassi diventa improbabile che tale pratica si riveli utile.
Inoltre, se si fanno creare mappe concettuali per stabilizzare i ricordi, è importante che ciò sia fatto a memoria perché creare le mappe guardando i materiali di studio si è rivelato meno efficace per consolidare le informazioni.
Infine, è importante tenere conto dell’ansia che può causare l’utilizzo delle verifiche; è stato infatti messo in luce che l’ansia è in grado di ridurre i benefici sulla memoria di questa tecnica (non potendo eliminare però totalmente il fattore ansia, un buon compromesso può essere quello di porre domande a cui con buona probabilità lo studente riesca a rispondere).

Aspetti che necessitano ancora di essere chiariti. Resta da chiarire quale sia il livello ottimale di difficoltà delle domande di verifica.

4 – ELABORAZIONE (INTERROGAZIONI ELABORATIVE)

In cosa consiste. Questa tecnica consiste nel mettere in connessione le nuove informazioni alle conoscenze preesistenti. Diverse sono le interpretazioni riguardo al suo funzionamento; talvolta si parla di apprendimento più profondo, altre volte di riorganizzazione delle informazioni in memoria.
In breve, consiste nell’interagire con lo studente ponendo domande riguardo agli argomenti studiati, con lo scopo di portarlo a esplicitare i nessi logici fra le informazioni apprese.
Tutto ciò, oltre a favorire la memorizzazione dei concetti, comporta un aumento della capacità di estendere ad altri contesti quanto appreso.

Esempio di applicazione. Una prima modalità di applicazione può essere semplicemente quella di invitare lo studente ad approfondire la codifica delle informazioni in fase di studio ponendogli domande come “in che modo?” o “perché?”.
Un’altra possibilità è che gli studenti applichino da soli questa tecnica, per esempio, dicendo semplicemente ad alta voce quali passaggi debbano eseguire per risolvere un’equazione.

Criticità. Quando si utilizza questa tecnica è importante che gli studenti verifichino le loro risposte con i loro materiali o con l’insegnante; quando il contenuto generato attraverso l’interrogazione elaborativa è scadente, ciò può effettivamente peggiorare l’apprendimento.

Aspetti che necessitano ancora di essere chiariti. Sarebbe utile che i ricercatori testassero la possibilità di applicare questa tecnica già alle prime fasi di lettura dei concetti da apprendere. È ancora da capire se gli studenti si avvantaggino di domande autogenerate o se sia meglio che le domande di approfondimento siano poste da un’altra persona (per esempio, l’insegnante). Non è chiaro neppure quanto uno studente debba perseverare nel cercare una risposta né quale sia il giusto livello di abilità e conoscenze acquisite per poter beneficiare di questa tecnica.
Un ultimo dubbio riguarda l’efficienza: maneggiare questa tecnica richiede un aumento dei tempi nello studio; è sufficientemente vantaggiosa o è più conveniente appoggiarsi ad altre tecniche, per esempio, la pratica delle (auto) verifiche?

5 – ESEMPI CONCRETI

In cosa consiste. Questa tecnica non necessita di grandi presentazioni. Si tratta di affiancare esempi pratici alle spiegazioni teoriche.
L’efficacia non è in discussione e si basa sul fatto che i concetti astratti sono più difficili da afferrare rispetto a quelli concreti.

Esempio di applicazione. Non c’è molto da comprendere riguardo a questa tecnica; non a caso, gli autori della review da cui stiamo prendendo queste informazioni[2] identificano questa tecnica come la più citata sui libri di formazione per insegnanti (cioè in circa il 25% dei casi).
Tuttavia, può essere utile sapere che spingere gli studenti a spiegare attivamente cosa abbiano di simile due esempi, e incoraggiarli a estrarre da soli la le informazioni chiave sottostanti può anche aiutare a generalizzare queste ultime.
Inoltre, fornire più esempi di uno stesso sembra aumentare il vantaggio di questa tecnica.

Criticità. È stato mostrato che spiegando un concetto e mostrando un esempio incoerente si tende a imparare maggiormente l’esempio pratico (errato!). È perciò necessario prestare molta attenzione ai tipi di esempi che vengono forniti rispetto alle informazioni che vogliamo vengano apprese; le esemplificazioni devono quindi essere ben correlate ai contenuti chiave.
La probabilità con cui un esempio verrà usato correttamente, cioè per estrapolare un principio astratto generale, è in relazione al grado di padronanza dell’argomento dello studente. Studenti più esperti tenderanno ad andare più facilmente verso i concetti chiave, quelli meno esperti tenderanno a rimanere più in superficie.

Aspetti che necessitano ancora di essere chiariti. È ancora da definire la quantità di esempi ottimale per favorire la generalizzazione dei concetti da apprendere.
Non è chiaro neppure quale sia il giusto bilanciamento fra il livello di astrazione e il livello di concretezza che dovrebbe avere un esempio (se troppo astratto, è forse troppo difficile da comprendere; se troppo concreto, può non essere sufficientemente utile per veicolare il concetto che si vuole insegnare).

6 – DOPPIO CODICE

In cosa consiste. Quante volte abbiamo sentito dire “un immagine vale più di mille parole”? Questo è l’assunto su cui si basa questa tecnica. Più nello specifico, la teoria della doppia codifica suggerisce che fornire rappresentazioni multiple della stessa informazione migliora l’apprendimento e la memoria, e che le informazioni che evocano più prontamente rappresentazioni aggiuntive (attraverso processi automatici di immaginazione) ricevono un beneficio simile.

Esempio di applicazione. L’esempio più semplice può essere quello di fornire uno schema visivo delle informazioni da apprendere (come la rappresentazione della cellula che viene descritta da un testo). Questa tecnica può essere anche applicata facendo disegnare allo studente ciò che sta studiando.

Criticità. Dato che le immagini sono generalmente ricordate meglio delle parole, è importante assicurarsi che tali immagini fornite agli studenti siano utili e pertinenti ai contenuti che dovrebbero apprendere.
Bisogna far attenzione alla scelta delle immagini in affiancamento al testo poiché i dettagli visivi in eccesso possono a volte diventare una distrazione e ostacolare l’apprendimento.
È importante aver chiaro che questa tecnica non si sposa con la teoria degli “stili di apprendimento” (che invece si è dimostrata errata); non si tratta di far scegliere allo studente la modalità di apprendimento prediletta (per esempio, visiva o verbale) ma di far sì che le informazioni passino per più canali contemporaneamente (per esempio, visivo e verbale, contemporaneamente).

Aspetti che necessitano ancora di essere chiariti. C’è da comprendere ancora molto sulle implementazioni per la doppia codifica e sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire come gli insegnanti possano sfruttare i vantaggi conferiti da rappresentazioni multiple e dalla superiorità delle immagini.

Conclusioni

In ambito scolastico disponiamo di molte opportunità per utilizzare le tecniche appena descritte e per combinarle fra loro. Per esempio, la pratica distribuita può essere particolarmente potente per l’apprendimento se combinata con la pratica delle autoverifiche (recupero dalla memoria). I vantaggi aggiuntivi della pratica distribuita possono essere ottenuti impegnandosi più volte nella pratica delle autoverifiche, per esempio, utilizzando le verifiche per riempire le pause fra un recupero e l’altro.

La pratica ‘interleaved’ comporta ovviamente una distribuzione dei ripassi (pratica distribuita) se gli studenti alternano materiale vecchio e nuovo. Gli esempi concreti potrebbero essere sia verbali che visivi, implementando quindi anche la doppia codifica. Inoltre, le strategie di elaborazione, gli esempi concreti e la doppia codifica funzionano tutte meglio se utilizzate come parte della pratica di recupero (autoverifiche).

Tuttavia, non è stato ancora stabilito se i benefici della combinazione di queste strategie per l’apprendimento siano additivi, moltiplicativi o, in alcuni casi, incompatibili. È necessario quindi che la ricerca futura definisca meglio ciascuna strategia (particolarmente critica per l’elaborazione e la doppia codifica), individui le migliori pratiche per l’applicazione a scuola, chiarisca le condizioni al contorno di ciascuna strategia e approfondisca le interazioni tra le sei strategie che abbiamo qui discusso.

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BIBLIOGRAFIA

  1. Dunlosky, J., Rawson, K. A., Marsh, E. J., Nathan, M. J., & Willingham, D. T. (2013). Improving students’ learning with effective learning techniques: Promising directions from cognitive and educational psychology. Psychological Science in the Public Interest14(1), 4-58.
  2. Weinstein, Y., Madan, C. R., & Sumeracki, M. A. (2018). Teaching the science of learning. Cognitive research: principles and implications3(1), 1-17.