Negli ultimi anni si è assistito a un aumento della ricerca nell’ambito dei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), che ha permesso una maggiore, seppur incompleta, comprensione. È forse grazie a questo che in tempi recenti si è arrivati ad avere un sempre maggior numero di diagnosi precoci con una maggiore possibilità di trattare i disturbi. Parallelamente alla loro classificazione e allo studio delle loro possibili cause, si è sviluppato un filone di ricerca volto a creare e validare vari protocolli di trattamento, spesso molto differenti fra loro. È lecito attendersi però che non tutti siano realmente efficaci e, quando lo sono, il loro effetto può comunque variare.

Va premesso che allo stato attuale è difficile trarre conclusioni sui risultati effettivi a cui conducono i trattamenti, in particolare per quanto concerne le differenze fra loro. Uno dei motivi principali è la difficoltà nel confrontare un gruppo sottoposto al trattamento di interesse con un altro sottoposto a trattamento finto (gruppo di controllo) in modo da verificare che l’eventuale miglioramento nelle prestazioni (lettura, scrittura e calcolo) non sia da attribuire a evoluzione spontanea o a effetto placebo. Infatti, per motivi etici si incontrano molti ostacoli a condurre una ricerca in cui un gruppo di individui, simile a quello da trattare con un intervento di potenziamento (e che quindi, per definizione, a sua volta potrebbe necessitare di tale intervento), non benefici di alcun intervento.

Un’altra difficoltà rilevante dipende dalla grande diversità nel modo in cui vengono condotte le ricerche sull’efficacia dei potenziamenti. A cambiare non è soltanto il modo di trattare le difficoltà ma anche il modo di rilevare i dati (test che misurano parametri dissimili fra loro) e la durata del trattamento. Diventa quindi arduo stabilire quanto la differenza di efficacia di un trattamento rispetto a un altro sia da rintracciare nel metodo utilizzato, nel mondo di osservarlo o nel tempo dedicato agli esercizi.

Nonostante tutto, in tempi recenti si è tentato diverse volte di tracciare una sintesi degli interventi di potenziamento proposti più frequentemente e dei loro effetti sugli aspetti trattati, anche se attualmente non ci sono evidenze conclusive sulla superiorità di un trattamento rispetto a un altro (Re et al., 2014).


Trattamenti per la dislessia: con quali obiettivi?

  • Si possono ottenere importanti cambiamenti anche quando si frequenta la scuola media;
  • Con 7-8 ore di trattamento al mese è possibile ottenere cambiamenti clinicamente significativi (0,3-0,5 sillabe al secondo) anche in soli 2 mesi;
  • A parità di ore di trattamento, si possono ottenere cambiamenti equivalenti sia seguendo un trattamento ambulatoriale che domiciliare;
  • Si possono ottenere miglioramenti nella velocità di lettura sostanzialmente della stessa entità, ripetendo il ciclo di trattamento due o anche tre volte;
  • La maggior parte dei bambini trattati può raggiungere un livello normale di accuratezza (ma non di rapidità) nella lettura di un brano;
  • L’utilizzo di brani (piuttosto che parole o non parole) come materiale per le esercitazioni al computer è sufficiente per ottenere cambiamenti significativi;
  • È possibile ottenere cambiamenti clinicamente significativi per quasi tutti i bambini indipendentemente dalla presenza di comorbilità con altri disturbi dell’apprendimento o con disturbi dell’attenzione;
  • Non si evidenziano fattori predittivi soddisfacenti dei miglioramenti osservati;
  • Si riscontrano ampie differenze individuali in risposta a tutti i tipi di trattamento.

Cesare Cornoldi (a cura di), Difficoltà e disturbi dell’apprendimento, Il Mulino, Bologna, 2007)

I trattamenti

Riassumendo al massimo si possono elencare queste diverse impostazioni di intervento sulla dislessiatrattamento sublessicale, neuropsicologico, lessicale, Davis-Piccoli, percettivo-motorio e metodo balance.

Trattamento sublessicale

L’ispirazione di questo trattamento arriva da un modello psico-linguistico in cui la lettura discende dal riconoscimento, sempre più automatico, di gruppi di grafemi, via via più estesi, rilevanti da un punto di vista linguistico. Solitamente viene svolto con esercizi di lettura al computer facilitati al fine di aumentare l’automatizzazione nel rilevare lettere e sillabe.

Trattamento neuropsicologico

A differenza degli altri, è un trattamento difficilmente riassumibile perché non prevede una sequenza standard di esercizi. È individualizzato in base al profilo del paziente. Questa categoria racchiude una serie di attività che hanno lo scopo di trattare anche altre componenti del sistema cognitivo (come l’attenzione e le funzioni esecutive), oltre alla lettura.

Trattamento lessicale

Partendo da un modello interpretativo secondo il quale (in un’ortografia trasparente come quella italiana) la difficoltà insita nella dislessia discende da una difficoltà di riconoscimento globale delle parole, questo trattamento prevede un allenamento a leggere parole con presentazione tachistoscopica (rapida) al computer per automatizzare la lettura.

Trattamento Davis-Piccoli

Prende spunto dal modello di Davis e Braun(1998), secondo il quale la dislessia sarebbe dovuta a problemi nell’utilizzo dell’attenzione visiva , e consiste in compiti volti a favorire lo sviluppo di un focus attentivo con l’obiettivo di riconoscere velocemente le parole, allenamenti nella discriminazione spaziale dei grafemi e altri per lo sviluppo delle abilità di sintesi fonetica.

Trattamento percettivo-motorio

Noto anche come metodo Delacato (1980), si basa sull’assunto che alla base dell’apprendimento della lettura ci sia lo sviluppo di pattern motori di motricità grossolana (come andare a carponi, di una definita lateralizzazione di mano, occhio e coordinazione oculo-motoria).

Trattamento visivo

Trattamento visivo: detto anche visual training, è un tentativo di correggere e migliorare i processi oculari, visivi e i disturbi visuopercettivi (Sheril et al., 2011).

Trattamento secondo il balance model (Bakker, 1992)

basandosi sulla visione della lettura come frutto di un equilibrio tra attività dei due emisferi cerebrali (analisi visuo-percettiva dell’emisfero destro vs anticipazione/integrazione su base linguistica dell’emisfero sinistro), la causa della dislessia consisterebbe in uno sbilanciamento dell’attivazione di uno o entrambi gli emisferi. A seconda del tipo di coinvolgimento dei due emisferi nella genesi del disturbo, si avrà una dislessia percettiva (ipoattivazione emisferica sinistra – lettura lenta ma piuttosto corretta), una dislessia linguistica (ipoattivazione emisferica destra – lettura veloce ma inaccurata) e una dislessia mista (ipoattivazione di entrambi gli emisferi e scarsa integrazione fra loro) con caratteristiche tipiche di entrambe le due precedenti. Il trattamento previsto consiste nella presentazione tachistoscopica (rapida) di parole o brevi stringhe di testo in diverse posizioni spaziali in base a come viene interpretato il deficit di lettura.

I risultati

Come già detto questi trattamenti non hanno mostrato sempre gli stessi risultati e in alcuni non è stata provata alcuna efficacia sulla dislessia, come per esempio con il metodo Delacato (Bahamin, 2003, Cohenet al., 1970; Tressoldi et al., 2003) o con il trattamento visivo (Sheril et al., 2011).

I metodi che sembrano aver mostrato una certa efficacia nel migliorare le performance di lettura, soprattutto per quanto riguarda la velocità, prendendo a riferimento uno studio di Tressoldi e Vio (2011), sembrano essere essenzialmente quattro: sublessicale, neuropsicologico, balance e lessicale. I parametri usati per testarne il successo sono stati la differenza nella velocità di lettura pre e post-trattamento su parole, non parole e brano.

Mentre tutti e quattro appaiono ugualmente efficaci sulla lettura di brano, i primi due permettono un miglioramento significativamente superiore gli altri anche nei parametri di lettura di parole e non parole. Va però detto che il trattamento neuropsicologico, rispetto a quello sublessicale, richiede una mole di lavoro decisamente superiore quindi, in termini di efficienza sembrerebbe preferibile quest’ultimo.

Sembra comunque doveroso specificare che un trattamento neuropsicologico che comprenda il potenziamento delle funzioni specifiche meno efficienti del singolo individuo, più quelle componenti trasversali che possono modulare tutti i compiti più specifici (come le varie componenti dell’attenzione e delle funzioni esecutive), potrebbe condurre a risultati più estesi, che si allargano ben oltre la velocità e la correttezza della lettura. A più riprese infatti è stata messa in evidenza l’importanza che alcune componenti come, per esempio, la memoria di lavoro verbale e visuospaziale rivestono nella comprensione del testo (Dahilin, 2011; Chein, & Morrison, 2010) e nel calcolo (Holmes et al., 2009). Esercizi che stimolino queste altre componenti, oltre a quelli mirati specificamente alla lettura, possono contribuire a migliorare la situazione delle persone con dislessia, soprattutto in riferimento alle difficoltà che si presentano in commorbidità con questo disturbo e che possono creare notevoli problemi a prescindere dalle capacità di lettura.

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